Questo debutto rappresenta per i Pink Floyd il primo traguardo dopo tre anni di gavetta.
Partiti nel ’64 come cover band di rhythm’n' blues, arrivano nell’agosto del ’67 a pubblicare quest’album che è il frutto di varie sperimentazioni ed esperienze. Dominato dalla personalità musicale e poetica di Syd Barret, è diviso tra brani con la classica struttura di forma-canzone, pur essendo arricchiti da svariati elementi, ed episodi strumentali dall’approccio sperimentale. Il pezzo d’apertura porta il titolo di "Astronomy Domine", che parte con un’assolvenza in cui si sentono: un segnale morse, una voce che da un megafono pronuncia nomi di varie costellazioni, una chitarra distorta che scandisce il tempo e la batteria che esegue figure sui tom. Già da questi primi secondi l’ascoltatore è trasportato in una dimensione ultramondana, dimensione che caratterizza gran parte dell’album. Il brano ha una fisionomia tonale, è di natura strofica, ma non ha un ritornello. Gli strumenti assumono tutti una fisionomia ritmica, quindi sono portati tutti allo stesso livello di importanza, voce compresa. La parte vocale, infatti, è costituita da una melodia ‘piatta’, su una sola nota alla quinta dell’accordo su cui canta e da una seconda voce che doppia la prima alla tonica dello stesso accordo. L’uso della voce doppiata e il tipo stesso di melodia crea un’atmosfera fredda ed alienante, che anticipa quello che sarà il futuro stile vocale dei Pink Floyd. Presenti suoni manipolati come l’accordo diminuito di organo che entra in una pausa in assolvenza, trilli di chitarra che aumentano e diminuiscono di volume, creati durante la fase di mixaggio, agendo in diretta sui cursori del mixer (toni, volume).

Si continua con il secondo brano, "Lucifer Sam", dal ritmo sostenuto e di derivazione surf rock. Un passaggio cromatico tra due accordi nella strofa e lo stesso titolo imprimono al pezzo un’aria sinistra e luciferina, quando in realtà il testo descrive i movimenti del gatto siamese di Syd Barret. I feedback e le figure di wha-wha che apparentemente sembrano invocare oscuri presagi, sono in realtà delle descrizioni dei movimenti di un innocuo gatto. Un modo questo di Syd Barret di confondere l’ascoltatore sul reale messaggio di una canzone. Con il terzo brano, "Matilda Mother", l’atmosfera generale cambia, assumendo una connotazione quasi fiabesca (non a caso il testo parla di una madre che racconta una fiaba alla figlia). La struttura è quella della forma canzone, alterata però da inserti strofici e da sezioni modali. Tra la prima e la seconda parte strofica vi è un interludio cantato che spezza l’andamento del brano per via del cambio di dinamica sia a livello vocale che ritmico, mentre al centro del brano è posta una sezione modale dove il basso esegue un giro su un accordo e l’organo improvvisa su scale frige e minori armoniche conferendo al pezzo un carattere esotico. Alla fine del brano è posta una coda, una danza in tre quarti, dove sul bordone un coro di voce esegue una melodia sulla scala misolidia. Ascoltando questo pezzo si sente che è stato costruito a forza di tagli e collages (quasi si sente l’attacco artificiale dell’ultima strofa dopo l’assolo dell’organo), usando lo studio come un vero e proprio strumento, una tecnica questa, oggi molto in uso ma che all’epoca era ancora in fase di sperimentazione. Si prosegue con "Flaming", forma canzone dall’andamento melodico quasi stralunato e caratterizzata da varie sovraincisioni di voci, suoni onomatopeici ed effetti.

"Pow R. Toc H." rappresenta il primo strumentale dell’album. Di chiara estrazione jazz, con il pianoforte di Wright che esegue pentatoniche e blue notes, in maniera abbastanza canonica. Il brano però si evolve in una sezione tonale, con una sequenza di accordi cromatica che accompagna dei versi simili a quelli di animali (un primo passo verso “Animals”?). Una matematica figura di batteria di Nick Mason introduce "Take Up The Stethoscope". Anche qui come in “Astronomy..”, gli strumenti assumono tutti una fisionomia ritmica. Il brano però possiede una più marcata componente blues per via del botta e risposta della voce e dell’uso della pentatonica minore nei licks di chitarra. Nell’improvvisazione centrale la fanno da padrone figure di slide e botte e risposte tra fraseggi d’organo e chitarra. Un modo dei Pink Floyd di interpretare a loro modo il rhythm’n’blues.

"Interstellar Overdrive" è il secondo strumentale dell’album e rappresenta a mio avviso la vera innovazione, a livello di fisionomia armonico-melodica, dell’album. Introdotto da una sequenza cromatica di accordi di chitarra doppiata dall’organo, il brano si evolve in una free-form di circa otto minuti. La sua fisionomia non è né tonale né modale, ma usa il linguaggio della dissonanza. La lunga parte centrale ha un aspetto quasi meccanico, dove l’organo suona accordi dissonanti, la chitarra emette note acute e filtrate dall’eco in sequenza, figure di slide ottenuto facendo scivolare le biglie d’acciaio sulle corde (una delle tecniche preferite da Syd Barret), e passaggi cromatici. La free-form ha tuttavia una sua dinamica interna creata dalla batteria che si inserisce in alcuni punti con le classiche figure sui tom, che caratterizzeranno in maniera decisiva lo stile di Mason nei futuri lavori (“Time”). La free-form, frutto di un’improvvisazione manipolata poi con sovraincisioni e ritocchi nel mixaggio, si chiude con una lunga rullata di batteria che reintroduce il giro iniziale, che chiude il brano.

Dopo questa “tempesta” sonora, ci sono in sequenza tre pezzi che mostrano l’altra faccia di questo album, quella meno elettrica, più legata alla musica folk e che andrà a caratterizzare la pur breve produzione solista di Syd Barret: "The Gnome", "Chapter 24" e "Scarecrow". Nel primo Syd Barret fa la parte del cantastorie, in una canzone dalla melodia quasi infantile e accompagnata dalla sola chitarra acustica e da un suono percussivo, mentre uno xilofono esegue delle figure melodiche. "Chapter 24" ha una connotazione melodica più pastorale, per via dell’uso di campane gong e dell’organo che contrappunta sul registro simile ad una cornamusa la linea vocale. Di natura folk-pastorale è la linea melodica di "Scarecrow", sulla scala misolidia, caratterizzata da una linea vocale composta da più moduli con metrica diversa, tipico di certa musica tradizionale. Un modo questo dei Pink Floyd di staccarsi dalla tradizione blues neroamericana. L’ultimo brano del disco è intitolato "Bike", una forma canzone dal ritmo sostenuto, dove compaiono effetti come il phaser applicato al rullante della batteria quando dà il tempo all’inizio di ogni battuta e vari rumori che evidentemente imitano quelli di una bicicletta. Curiosa l’ultima battuta rallentata di metronomo, dove si sente la seconda voce eseguita da Roger Waters, il futuro cantante del gruppo. L’outro del brano è composto da sveglie di orologi e bizzarre risate con effetto di loop che si sovrappongono.

Quest’album di debutto, ci mostra una band ancora in fase di sperimentazione, con la volontà di staccarsi a livello formale da strutture canoniche, non solo ampliando i propri brani con improvvisazioni su bordone, ma estremizzando questa tecnica con l’uso delle dissonanze ("Interstellar Overdrive"); ancora un passo in più dunque rispetto a bands come Beatles, Yardbirds o Rolling Stones, nell’evoluzione della pop music come distacco dalla forma canzone.

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