Mettiamo il caso che siamo in un eccitante periodo di rinascita del rock, circondati da un fitto ribollire di nuove scene musicali e che sia tramontata un po' l'era dei concept classicheggianti... Mettiamo che siate il leader di un gruppo rock che ha speso gli ultimi spiccioli di creatività da quasi un decennio, e ciononostante continuiate a incassare milioni qualsiasi flatulenza emettiate... Mettiamo anche il caso che le vostre notti siano turbate dai sensi di colpa per un padre aviatore morto in guerra, e per un amico genio impazzito, a cui avete rubacchiato le idee migliori, ma che non avete più il tempo di andare a trovare... Allora ci sta che vi chiamiate Roger Waters e che siate in procinto di confezionare uno dei più insopportabili polpettoni della storia del rock. Una mastodontica opera di classic rock formato doppio lp (in piena new wave... quando si dice cogliere lo zeitgeist), che di rock in realtà non ne contiene molto ma che in compenso è farcita di tante seriosità di quelle che riempiono bene la bocca, come Alienazione, Depressione, Società Oppressiva, il Muro Che Divide noi dall'Altro (da chi?... Syd?... Papino?). Waters despota o gli altri membri del gruppo irresponsabili debosciati? Fatto sta che la quasi totalità del progetto è ascrivibile a Waters, con Gilmour che si limita a comporre qualcosina e a infilare continuamente le sue solite prevedibilissime schitarrate. Il batterista Mason sembra lobotomizzato, e si riduce a fare "TUM, PA", sempre uguale per tutto l'album, mentre, a causa di litigi, non c'è quasi più traccia di Wright, né delle rassicuranti e colorate tastierine dei vecchi tempi.
Come fare a riempire le canzoni, allora? Ma con delle belle partiture sinfoniche che fanno opera importante e con un bel po' di rumori tecnologici che piacciono ancora tanto ai fans! Vabbè, ma rispetto a Dark Side, il suono di The Wall è un po' più asciutto, e comunque diverso - dirà qualcuno. Peccato che il risultato finale sia una noiosissima e incolore accozzaglia di trito hard rock da stadio, codazze techno-strumentali, disco music di seconda mano, tappezzerie classicheggianti, e finto cabaret anni 30, il tutto condito dall'intollerabile logorrea di Waters che non se ne sta zitto un minuto. Per non parlare poi di certi repellenti coretti da musical che ogni tanto ci ricordano che le cose sarebbero potute andare ancora peggio, se questo fosse stato un disco dei Queen. Certo, ad essere di bocca buona (e dimenticandosi dischi di 12, 10 o anche solo 6 anni prima) c'è da accontentarsi di una manciatina di canzoni accettabili, ma da un gruppo con questo passato e soprattutto, come risultato di tanta magniloquenza, tutto ciò fa la figura del famoso topolino partorito dalla montagna... Azz! peccato non c'è "rock geriatrico" nei DeGeneri proposti...
Carico i commenti... con calma