FERRY BOAT

A differenza di quanto dica l’opinione pubblica, questo è probabilmente il disco in cui l’espressività di Pino raggiunge il proprio climax. Non tanto per la capacità compositiva (sempre e comunque eccelsa), quanto, appunto, per il fatto che è riuscito a creare un’opera completamente indipendente da quello che può essere il contesto ambientale, emotivo e sentimentale di chicchessia ascoltatore.

La musica di “Ferry Boat” non è né da interpretare, né, tantomeno, da capire, a differenza di quello che accade, come affermava Shelling, ogni volta che si ha a che fare con una qualunque forma d’arte. L’ascoltare questo disco non significa riempire con sensazioni e impressioni un sacco vuoto, piuttosto rovesciarne uno pieno e scegliere i colori e le sfumature che in quel momento ci va di cogliere. E, infatti, in questi dieci brani è racchiusa una perfezione sonora ineguagliabile.

“Ferry Boat” è caldo, afoso. Disegna paesaggi brulli, in cui trovare un po’ d’ombra è una conquista e l’unica cosa che può dare sollievo dalla calura è la musica stessa: un flusso d’aria continuo, ma di intensità incostante. E’ Pino che decide quando e in quale misura dare respiro. La musica si fa ascoltare, non va ascoltata. Il primo brano, che dà anche il titolo al disco, si apre con voci effettate su una ritmica difficile da definire stilisticamente, forse un rock a sfondo dance. La voce di Pino, con il suo solito napoletano-inglese, scopre sonorità nuove, mai sentite prima e che non si ritroveranno neanche in lavori successivi, se non in brevi passaggi di “Schizzechea With Love” del 1988.
Il secondo brano è “Bona jurnata”, un rock mediterraneo fantastico, il più bello di zio Pino secondo i gusti di chi scrive: gli accordi aperti di chitarra introducono e accompagnano i ritornelli caricandoli di energia. Poi, eccola. Quella canzone che non si dimentica, quella canzone che ti fa innamorare di una donna che non hai mai visto, quella che ti ricorda che il mondo è fatto di sentimento e basta. I fiati non potevano essere suonati meglio, ma la chicca è l’assolo di una chitarra elettrica suonata come se fosse classica; tagliente, rude, fa di tutto per essere delicata, cercando di non fare male, perché è così che è questa canzone, “Sarà” : tenera e sincera.

Segue “’a rrobba mia”, simpaticissima e latin-blueseggiante, con un ponte-ritornello che mira, come sempre, a Napoli. E lo stesso accade nella parte finale del pezzo, con vocalizzi un po’ jazz partenopei. A questo punto Daniele torna ad essere romantico e forse ci riesce anche meglio rispetto a quanto fatto nella seconda traccia. Un mito. “Che ore so” entra in sordina, ma il ritornello è il più bello della storia. I fraseggi di voce che precedono l’assolo di sax (stupendo) sono i migliori che Pino abbia mai scritto.
La successiva “Onesi diverte ad essere americana, però ritorna la solita formula: la strofa statunitense è solo una maschera di un intermezzo cantato da un napoletano verace; malinconico sì, ma con la forza incessante di suonare e affrontare la vita come sanno fare oltreoceano. Attenzione però: è solo la ripresentazione di un vecchio mito. Pino non ha mai creduto che l’America fosse meglio di casa sua, l’aveva già detto in un altro album. Per affrontare la vita bisogna però convincersi che da qualche parte c’è la dimostrazione che si può vivere meglio, che si può fare di più. In poche parole Pinuccio ci sta insegnando che bisogna sempre guardare al meglio e mai accontentarsi.

Amico mio”, una poesia in musica che alterna momenti toccanti a parti ritmate fantastiche, ha un crescendo che è prova di vera maestria. La speranza in un futuro migliore torna in “Dance Of Baia” che sorprende nuovamente nella perfetta commistione fra la musica e l’intenzione dell’autore. Già all’attacco si viene teletrasportati attorno ad un falò su una spiaggia lontana dal mondo, dove una ragazza dai capelli nerissimi, bella come la Luna che le illumina il volto lucido di sudore, balla “finchè nun jesce ‘o Sole”. Stupenda metafora della costanza di affrontare il mondo con energia. “’o tempo vola” si apre come l’alba di un giorno nuovo.
Il suono è ancora come un mare illuminato dal sole che si riflette sulla sua superficie
. Dopo una giornata così si fa sera. E’ arrivato il momento di ascoltare l’ultima traccia, “Quaccosa”, che sembra voglia ricordarci che tutte le giornate di chi sa vivere la vita devono terminare accompagnate dalla melodia.

Voto a Pino: 6.

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