Ecco a voi un disco che fa incazzare. E ora vi spiegherò perché.
Premessa necessaria: io sono tra quelli che non negano a Pino Daniele un luminosissimo passato, anzi: dal 1978 al 1985 il chitarrista napoletano è stato una delle realtà più interessanti del panorama nazionale, capace com'era di mischiare la tradizione partenopea, il blues, l'avanguardia jazz-fusion e il cantautorato puro. In sostanza, per il sottoscritto, da quando, dopo il lontanissimo e bellissimo "Ferry Boat", sono stati abbandonati i testi intelligenti e profondi in dialetto per lasciare spazio a solenni banalità in italiano, il sogno di una strada musicale nuova e tutta italiana è stata definitivamente cestinata.
Da lì in poi si sono alternati prodotti appena sufficienti, sicuramente insufficienti, ed altri con qualche lampo di grandezza o con qualche spallata d'imbarazzo.
Oggi esce questo dischino brevissimo, poco più di trenta minuti (qualcuno che sa i preliminari di psicologia deve avergli suggerito che le persone perdono attenzione dopo mezz'ora...), e che per questo non costa certo meno – ma sarebbe un altro discorso non da fare ora e qui... - che alterna le solite banalità a qualche piccolo lampo che potrebbe far sospettare che il grande Pino alberga sempre lì, da qualche parte e certamente nascosto bene, ma senz'altro vivo.
Intendiamoci, altra premessa fondamentale: non esiste prodotto di Pino Daniele che sia suonato o confezionato male. Teniamolo sempre presente: si tratta di uno strumentista d'assoluto pregio per gusto, fantasia e anche tecnica. Ma questo, come sappiamo bene, non basta.
Il disco si presenta per una volta senza il protagonista in copertina, e questo potrebbe farci pensare bene... Ma qualche dubbio assale subito leggendo il "sottotitolo" "latin blues e melodie". Bene: io credo che le cose vadano spiegate poco, soprattutto nell'arte, vera o presunta che sia. Penso che l'ascoltatore non abbia bisogno di manualini per capire a cosa sta di fronte (soprattutto, poi, se sono manualini sbagliati: del blues qui non v'è alcuna, ma proprio alcuna, traccia...).
Bene: mettiamo su il ciddì e parte un ritmo latino pianobaristico che sembra fatto tutto al classico tastierone, con l'intervento della riconoscibilissima chitarra. Ma che... avrà suonato tutto lui...? Andiamo a vedere e... no: c'è persino Nanà Vasconcelos, oltre a parecchia altra gente...! Ma il problema è che non si sente, e il clima, ripeto, è schiettamente tastieristico.
Così anche in buona parte dei brani che seguono. Con, però alcuni dati particolari che vanno assolutamente sottolineati.
"It's Now Or Never", celebre cover elvisiana di "O Sole Mio" e "Patricia", melodia ultraconosciutissima, sfruttata persino nelle balere romagnole, di cui qualche anno fa diede una sapiente interpetazione anche Ry Cooder.
Bene: cos'è...? Trash...? Kemp, ovvero trash consapevole...? Semplice errore...? Goliardata...? Fatto sta che si sfiora il liscio, e non si capisce se l'intenzione è serissima, semiseria o se si tratta semplicemente di una ragazzata. Di certo Pino Daniele non è certo mai stato celebre per le goliardate, che credo si contino sulle dita di nessuna mano. Bah... giudizio sospeso, ma rimane in bocca un gustino lievemente amaro.
Un paio di strumentali brevissimi. Un paio di simil classici cui ci aveva già abituato nel precedente pseudo-ambizioso - ma certo pretenzioso - "Passi D'Autore", e il disco è bell'e che finito. Proprio...?
In verità no: la penultima traccia, una brevissima (ma guarda un po') "Serenata A Fronn'e Limone", in napoletano, è bellissima, scritta dalla stessa penna che scrisse "Lazzari Felici", pizzicata sulla stessa chitarra e - udite udite - cantata dalla stessa voce, e non da quella cosa afona cui ci aveva abituati ultimamente. Pure il testo è bello, convincendoci che è proprio l'italiano ad ispirarlo male.
E per questo ci si incazza: perché se si cerca nelle troppe stanze dell'anima di Pino Daniele, quel bluesman melodico partenopeo, vero e verace, austero e impeccabile, lo si trova.
Ma forse, purtroppo, neanche lui se ne rende conto, o se lo ricorda.
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