Succede spesso che un Artista chiuda la parte migliore e più vera della propria carriera con un bel “live” dal valore al contempo simbolico e riassuntivo.
Lo ha fatto indubbiamente Vasco col bellissimo “Va Bene Va Bene Così”, in qualche modo (ci sarebbe da discutere mesi…però…) l’han fatto anche Conte con “Concerti”, pur con qualche apprezzabilissimo colpo di coda successivo, Dalla con “Dallamericaruso”, e forse lui già un po’ in ritardo, oltre che Guccini con “fra La Via Emilia E Il West” o Battiato con “Giubbe Rosse”.
Naturalmente si può discutere all’infinito sulla qualità di ciò che è venuto prima o dopo il “live” in questione, ma un dato di fatto è inoppugnabile: dopo molti “live”, e sicuramente dopo quelli che ho indicato, l’Artista ha voltato pagina, quasi che, consapevolmente o meno, avesse voluto dire “bene, quel che ho fatto ho fatto…: da qui, nel bene o nel male, si cambia”.
E così ha fatto l’allora grandissimo Pino Daniele, con un disco tratto dal tour del mai troppo lodato e troppo spesso sottovalutato “Musicante”.
Una scaletta incredibile, una band splendida ed efficacissima, oltretutto onorata dalla presenza di grandi ospiti che senz’altro gratis non s’eran fatti vedere, ma dalle cui note trapelava il piacere d’esser lì, e non solo –come in troppi altri casi- l’ombra triste d’un contratto discografico.
Qui si riassumono i primi bellissimi dischi di Pino, fino a quel momento, almeno a mio parere, tutti eccellenti per qualità sia compositiva che interpretativa.
Si può ovviamente discutere sull’equalizzazione dei suoni e sulla scelta degli stessi. Ma bisogna ricordare che eravamo nel bel mezzo degli ottanta…ed i suoni erano quelli. O piacciono o non piacciono, ma almeno erano suoni di personalità e frutto di scelte consapevoli e a tratti molto coraggiose (oggi non avete l’impressione che i nuovi gruppetti pseudo-rock, sia di qua che di là dal mar, abbiano tutti lo stesso identico suono…? O sarò forse io che sono ormai un vecchio…?).

Ma torniamo al disco, che brilla di luce propria, e non poco. L’apertura è lasciata a “Chillo E’ Nu Buono Guaglione”, tratto da “Pino Daniele” del 1979, ma completamente stravolta per lasciare spazio ad una bella sezione fiati e all’inconfondibile ritmica di De Piscopo. Poi s’alternano brani elettrici ed acustici, in quello che era allora un campionario invidiabile di successi, anche se oggi in un concerto di Pino le “sopravvissute” di questa scaletta non son più di due/tre…: il tempo e la banalità dei tempi han voluto che a questi seguissero altri successi patinati, sussurrati, da sottofondo da immobiliare ladrona e sicuramente costruiti sui (peggiori) gusti femminili…. Mi farò qualche nemica, lo so, ma date retta al Teorema del Primiballi: “quando due o più donne insieme se ne escono con frasi del tipo “bella questa canzone”, conviene mettersi all’erta, e recitare il “de profundis” per l’artista, poiché o è morto, o di lì a poco schiatta”. Artisticamente, intendo. È ovvio.
Fatto sta che il “troppi assoli”, criterio che spesso caratterizza la stroncatura femminea, qui la faceva da padrone. Col tempo ad una voce grintosa e “da fame” si sarebbe sustituita una vocina flebile, femminiella e deboluccia. Alla chitarra elettrica si sarebbe definitivamente sostituita la classica, gli assoli andranno progressivamente a sparire e di sassofoni, per fare un solo esempio, nei dischi di Pino se ne vedranno sempre meno. E poi più. E pensare che qui, a urlare divinamente sul capolavoro “Chi Tene O Mare”, c’era un Gato Barbieri in formissima. Ma in qualche traccia si sente anche l’ultratecnico e bravissimo Bob Berg. Alle percussioni si fa sentire anche quel Nanà Vasconcelos che poi tornerà a suonare ancora con Pino, persino nel poco proponibile “Iguana Cafè”.

Un epitaffio, dunque? Un canto del cigno? Indubbiamente sì, anche se, qui e là, e del tutto improvvisamente ed inaspettatamente, il Pino Migliore farà capolino anche in dischi inammissibili e quasi inascoltabili, quasi fosse un dispettuccio che la sua anima (indubbiamente grandissima) ha deciso di farci, illudendoci nell’attesa di un disco che mai più verrà, pur con la bella e parzialissima eccezione di “Medina”.


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