Avevo circa 12-13 anni. Non ero ancora maturo come oggi (credevo che Tiziano Ferro fosse un bravo cantante, potete capire come ero messo male!). Ero comunque abbastanza curioso di sentire questo lavoro del buon Daniele, anche se purtroppo era già iniziato il periodo di decadenza per lui (e all'epoca non me n'ero manco reso conto del tutto).
La prima volta ero rimasto di sasso, ma in senso negativo. Mi aspettavo qualcosa di sensazionale, ipotesi purtroppo svanita durante l'ascolto. Le canzoni in sè mi parevano banali, prive di pathos e incapaci di entrare dentro il cuore dell'ascoltatore. Per poi ricevere, dopo un po' di tempo, una delusione ancora più forte ascoltando "Passi D'Autore", troppo lento per essere del Daniele che amo. E proprio per questo ancora più vuoto del precedente disco in studio.
Ora è tutta un'altra storia. E siccome sono in vacanza, mi prendo la briga di tirare di nuovo fuori certe cose che ho lasciato in sospeso. Il tutto per confutare di nuovo una tesi probabilmente non giusta come credevo all'inizio. Questo cd è la tesi in questione.
Dopo una serie di dischi senza infamia e senza lode come "Non Calpestare I Fiori Nel Deserto", "Dimmi Cosa Succede Sulla Terra" o "Come Un Gelato All'Equatore", nel 2001 è il tempo di "Medina", altro capitolo dell'ultima fase di Pino Daniele, ormai con una voce (per citare Primiballi) soprattutto "flautata" (più per i problemi di cuore o più per l'amore verso quella bella Fabiola?), piuttosto che dura e graffiante.
Per iniziare cito i tre singoloni, "Tempo Di Cambiare", "Sara" e "Mareluna". Di tutti questi salvo la seconda, forse per il magnifico attacco iniziale di chitarra della seconda, anche se quando Pino parte con quel "Sara sarà Sara sarà Sara sarà" delude... le altre due non mi sembrano né carne né pesce.
Colpisce invece in pieno l'iniziale "Via Medina", una sorta di ritratto della sua nativa bassa Napoli, ("lo stesso cielo di casa mia") uno dei pezzi più interessanti del lavoro, chitarrone elettriche a profusione e sonorità orientali sullo stile di "Ferry Boat", con il cantato di Lotfi Bushnaq che aggiunge un po' di pepe a questo antipasto già ottimo di per sé. Notevole anche la sessione di batteria di Lele Melotti. Ma mi sembra quasi un'illusione tale antipasto, perché la prima batosta (rimanendo fuori nel campo dei singoli), da cui non mi sono ripreso del tutto nemmeno oggi che ho risentito il lavoro, è stato il deludente duetto tra i 99 Posse e Pino: "Evviva ‘o ‘Rre'"... tutta colpa di un ritornello semplicemente melenso dal mio punto di vista... un po' meglio invece le strofe cantate da Meg e Pino e il rappato di Zulù.
"Senza ‘e Te" è un pezzo che ho rivalutato in positivo, tutto sommato è una sorta di incrocio tra le melodie alla "Lazzari Felici" accompagnato da dei vibrafoni che ricreano l'effetto degli inizi degli anni '80 (che ci sia un po' di "Nero a Metà" e un po' di "Vai Mò" con un tocco di "Musicante"? Il tutto nelle loro fasi più soffici). Altro pezzo tra i migliori del lavoro.
"Lettera Dal Cuore" purtroppo mi sembra una canzone fin troppo vicina alle nenie rappresentate dai tormentoni come "Dubbi Non Ho" o "Amore Senza Fine", diciamo che segnalerei il parlato di Mia Cooper. Ma di nuovo quel vecchio zio Pino che rimembriamo riesce fuori con "Acqua Passata", completamente in Neapolitan-style, e ogni tanto si sentono degli archi similmente arabeggianti, un po' sullo stile di "Via Medina"...terzo picco dell'album.
E "Galby"? Purtroppo devo confessare che è stata la seconda batosta che ho ricevuto all'epoca in cui mi era capitato in mano il disco... quel "Galby" che si ripeteva a profusione nel ritornello toglieva e toglie tuttora anima ad una canzone che sembrava essere destinata a diventare tra le migliori del cd. Interessante comunque il cantato in francese di Faudel (che sinceramente non conosco).
Concludono il lavoro tre tracce ognuna con i suoi pregi e difetti: una è "Gente Di Frontiera", ultima traccia con Lele Melotti alla batteria, dove sembrano uscire fuori di nuovo quelle vecchie schitarrate blues che lo rendevano unico nel suo genere.
"Passi lunghi passi nel futuro / Anche se domani / Anche se domani / Sarà un altro giorno duro"
La seconda è "Lacrima Di Sale", dove sembra esserci qualche citazione a "Something Stupid" nella melodia, per poi giungere, nel finale, ad una serie di fiati ben riprodotti grazie all'uso delle tastiere (suonate dallo stesso Pino). Nel bene e nel male si lascia ascoltare.
Delusione invece "Africa A Africa E", cantata con Salif Keita. L'avrei più visto come un pezzo un po' strumentale un po' cantato, ma fortunatamente non è un pezzo tutto da buttare. Segnalerei il sapiente uso di uno strumento molto simile ad un'arpa (il cosiddetto "canun" se non vado errato) udibile verso metà canzone.
Non finisce qui il cd, se non prima della traccia fantasma "Ah, Disperata Vita", una sorta di coro a più voci (che poi sono sempre la stessa, ossia quella di Pino) che chissà perché ma mi sembra una specie di anticipazione del trascurabile "Passi D'Autore"... solo che qui tale anticipazione sembra essere venuta meglio.
Non so comunque che giudizio dare in definitiva su questo disco... né un capolavoro ma nemmeno bruttissimo. Oggi come oggi potrei dire che ha dei momenti che riportano un po' al vecchio Pino a cui tanto siamo legati come dei fratelli, come dei nipoti, come dei figli.
Il consiglio migliore comunque è: ascoltatelo. Non è il vecchio Pino, non c'è la stessa intensità di un "Nero a Metà", non c'è la maestria sullo stile di "Live Sciò", ma ha alcuni sprazzi che ce lo "rievocano" pure se in chiave moderna...
p.s.: non so chi di voi ha ricevuto la stessa cocente delusione che ho ricevuto vedendo su Rai Uno il concerto di ieri sera... un Pino prima partito bene e poi ridotto non solo a presentare ospiti quasi totalmente inadatti per uno come lui, ma anche a steccare...
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