DE PROFUNDIS. Ogni volta che penso a questi dischi di Daniele, mi sembra di parlare di qualcuno che non è più tra noi. La sua produzione attuale mi irrita a tal punto che faccio finta non esista. Non sopporto chi fa musica (e se ne vanta!) "con il freno a mano tirato". Se una persona ha talento, perché deve produrre robetta? Come al solito, a voi il giudizio e la sentenza...

Questa è stata la sua quarta fatica, pubblicata nel 1981, ed oramai il nostro aveva da tempo smesso i panni della promessa musicale per vestire quelli di piacevole realtà. Solitamente si pensa che l'album della maturità sia il terzo: io penso, invece sia questo. Uno dei tanti motivi che mi spinge a tale considerazione è che la sua forma è ben studiata. Porre due canzoni brevi e lente, dall'atmosfera rarefatta e melanconica, una alla fine di ogni "side", quasi a suddividere l'album in due parti distinte, non è una scelta casuale. Al termine del lato A, "Sulo Pe' Parlà" suona quasi come una preghiera cantata con un'impalpabile sottofondo di tastiere (Joe Amoruso) e contrabbasso (Rino Zurzolo). Dall'altra parte del vinile, la conclusiva "È Sempe Sera" è una ninna nanna latina dove una melodica suona tristemente sulle percussioni appena sfiorate da Tony Esposito. Altra particolarità: sono citate nei testi più volte le parole "sera", "notte" e "giorno/giornata", quasi a voler dare, ad ogni singola canzone, la giusta collocazione nell'arco temporale delle 24 ore attraverso cui sembra, idealmente, dipanarsi l'intero lavoro.

Per suscitare la curiosità sul contenuto dell'intero album, venne usata "Yes I Know My Way", che di tutto l'album è la canzone che più si addice a questo scopo, con quel ritmo ruffiano e scanzonato dettato dalla batteria di Tullio De Piscopo, traino per l'incalzare degli altri strumenti. Non trovo sia il pezzo migliore (fatico a trovarne uno!), ma è quello che meglio riesce ad interpretare la definizione di "blues metropolitano" che, se non sbaglio, venne coniata in quel periodo e naturalmente appiccicata a mo' di etichetta, in maniera come sempre molto superficiale, anche a questo disco. Troppo riduttivo parlare della sua musica richiamando solo il blues. Qui troviamo di tutto: il funky, il jazz, la tradizione musicale mediterranea e partenopea e tanta inventiva per amalgamare il tutto. Una macedonia di generi conditi con quella strafottenza rabbiosa che era un po' il suo marchio di fabbrica ("Che Te Ne Fotte"), e quell'amore/odio verso l'America, madre sempre prodiga, comunque, di insegnamenti e ispiratrice di ammiccamenti e spunti vari qua e là, come negli equilibrismi stile New Orleans del trombone di Fabio Forte in "Have You Seen My Shoes", e nelle spazzole sul rullante di "Un Giorno Che Non Va", pezzaccio soft che richiama l'atmosfera dei locali notturni, fumosi e malfamati d'oltreoceano.

Ultimo rilievo, i musicisti di notevole spessore di cui ama circondarsi Pinone in quel periodo. Oltre a quelli già citati, facendo l'appello mi accorgo che manca James Senese: il suo assolo di sax in "Notte Che Se Ne Va" è necessario come il sale nella pasta. Purtroppo la sua presenza su questo 33 giri si limita a quello, ma durante quegli anni ha sempre contribuito alla causa danieliana con abnegazione come gli altri.

Consiglierei questo disco a chi pensa che gli anni '80 abbiano prodotto solo canzonette, materialismo e mode effimere...

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