Anche se l'album è stato pubblicato il 14 Febbraio 2011, vuoi per mancanza di tempo, vuoi perchè non mi ero ancora ben reso conto di ciò che stavano sputando fuori le casse del mio pc, solo ora ho deciso di recensirlo dopo un accurato ascolto.
Bene. Che Polly Jean Harvey fosse un'artista quello già si sapeva, ma che Polly Jean Harvey fosse un'Artista non è ancora chiaro a molti. Ma dopo questo album sono sempre più convinto della mia tesi. Chi non conosce Pj Harvey non potrà notare molto la differenza con i precedenti lavori, ma anche per i primi ascoltatori l'album risulterà gradevole, anzi, susciterà molta curiosità.
"Let England shake”, fatto di rock schietto e folk essenziale ed inciso nel Dorset in una chiesa del diciannovesimo secolo, nasce dopo tre anni di scrittura accurata dei testi e cinque di studio e parla di temi importanti, su tutti la guerra. Lo scopo? Scuotere (shake) le coscienze, smuovere dal torpore la sua Inghilterra, protagonista fin dal titolo dell’opera, l’Inghilterra coloniale e quella dell’intervento in Iraq e Afghanistan, ma anche quella della battaglia di Gallipoli del 1915 in cui assieme ai francesi fallì la conquista di Costantinopoli.
Definirei il tutto, musicalmente parlando, come un'unica traccia che arriva al suo apice per poi spegnersi, una curva gaussiana.
Quando inizio l'ascolto mi accorgo sin da subito che mi trovo davanti ad un nuovo approccio musicale, la musica diventa denuncia, pezzi schietti, privi di armoniche melodie ben definite, ma ritmi trascinanti, chitarre con chorus a palla, uso di fiati, la scelta di cori RIGOROSAMENTE maschili, psichedelici in alcuni tratti. L'album è così nuovo, così fresco e fuori dagli schemi.
Spettacolare la prima traccia che dà il nome all'album, si parla di un certo Bobby che potrebbe riferirsi a Bobby Sands, attivista nordirlandese morto durante lo sciopero della fame nel 1981 nella prigione di Long Kesh, conosciuta col nome di Maze, nei pressi di Lisburn, oppure ad un qualsiasi soldato in quanto in Inghilterra in tempi si è soliti chiamare i poliziotti con questo nomignolo.
Si prosegue con The Last Living Rose dove si odono i tamburi di guerra sin dai primi secondi del brano, il più melodicamente vicino al rock direi. E' l'inizio del viaggio attraverso il tempo.
The Glorious Land è il pezzo migliore a mio parere, che racchiude un pò tutte le sonorità dell'album, una vena malinconica e visionaria nel giro iniziale con chitarre sature di modulazioni a suon di trombe stonate di inno alla guerra
Particolare attenzione al testo, la frase che colpisce è:
'Qual’è il glorioso frutto della nostra terra?
Il suo frutto sono figli deformi
Qual’è il glorioso frutto della nostra terra?
Il suo frutto sono figli orfani'.
Passiamo a The Words That Maketh Murder la ballata folk dell'album. Arrivando alla psichedelica All And Everyone, con On Battleship Hill ci si avvicina all'apice di cui si è detto sopra. England è patriottismo puro, fantastici i vocalizzi e i gemiti, passionale l'arrangiamento con l'acustica, l'inno nazionale post-moderno della tanto amata Inghilterra.
Ed eccolo finalmente che arriva, In The Dark Places, per non deludere i fan più conservatori, il pezzo vecchio stampo, positivissimo.
In Bitter Branches subentrano similitudini tra i rami aspri di alberi spogli e le mogli dei soldati che sono costrette a dire addio ai propri cari, pezzo breve ma intenso. Ora è con Hanging In The Wire ci si avvicina alla fine del percorso, la guerra termina e lo spettacolo che si presenta davanti gli occhi dell'uomo è sconcertante, viene menzionata The White Cliffs OF Dover (una vecchia canzone di Vera Lynn registrata nel 1942 molto popolare durante la Seconda Guerra Mondiale).
Written On The Forehead: e' la fine. La guerra imperversa in città e scappare sembra l'unica soluzione possibile. Arrangiamenti e suoni degni di un pezzo dei Sigur Rós. Chiusura in bellezza direi!!!
L'ultimo brano, The Colour Of The Earth, stupisce. Candidato ai Music Awards 2011 nella categoria Miglior Testo, è incentrato su Louis, che combatteva nelle trincee dell'AZNAC. [ANZAC è l’acronimo con cui è conosciuto l’Australian and New Zealand Army Corps (Corpo di spedizione Australiano e Neozelandese). Esso fece parte del Corpo di Spedizione nel Mediterraneo (Mediterranean Expeditionary Force) britannico durante la Prima guerra mondiale].
In 40 min e 08 s Pj Harvey dimostra come un musicista possa riuscire a concepire la musica mettendosi in gioco, ricercando e soprattutto ricreando atmosfere di cui a volte ignoriamo l'esistenza.
Il 6 settembre, è stato consegnato il 20esimo Mercury Prize, il prestigioso premio assegnato dall’industria discografica inglese al miglior album dell’anno.
Ha vinto PJ Harvey con Let England Shake .
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