Per poter analizzare quest'album è necessario inquadrare il contesto in cui si colloca: siamo nel 1993, il grunge è in piena esplosione e l'underground "viene a galla", nelle radio in mainstream passano successi di Nirvana e Pearl Jam. Un periodo che sicuramente molti rimpiangono oggi, ormai costretti a purghe radiofoniche quotidiane di a base di Ferro e Pausini.
L'artista in questione, già al suo secondo lavoro (il più acerbo ma non per questo meno apprezzabile "Dry") sicuramente risente dell'aria dell'ambiente alternative degli anni 90, ma non per questo tralascia le sue origini storiche: viene naturale avvicinarla alla leggendaria Patti Smith e molti brani risentono di energia esplosiva di evidente derivazione "zeppelliniana". Inoltre, la nostra PJ non è poi così lontana (anche se fa sporadico uso di elettronica) dal filone portato avanti, sempre dai primi anni '90, dalla sua quasi coetanea Bjork. Insomma, abbiamo un'artista di ampia veduta che guarda al presente affondando però le radici in un solido passato. Tutto questo emerge in "Rid of Me".
L'album inizia con l'omonimo brano, un continuo e delicato pluck di chitarra introduce la sensuale e confidente (quasi scabrosa, a volte) voce di PJ, che fa trattenere il fiato fino all'esplosione, quasi due minuti di pura poesia in gemiti fino al boom, che comunque non è troppo violento. Si prosegue con Missed, ballata grunge dove tutto è più tragico, più duro, ma non per questo meno sensuale. Legs fa intravedere la forte influenza che i Led Zeppelin hanno sicuramente avuto sulla nostra cantautrice, ma si pone sempre in quel velato mix di passato e presente (di allora) davvero effimero. Rub Til it Bleeds (titolo a chiara indicazione sessuale) è forse il brano più sensuale dell'album, PJ urla e geme, la musica la segue nell'orgasmo con le sue distorsioni quasi alla Sonic Youth. Il brano successivo, Hook, è probabilmente il brano che guarda più al passato, in quell'organetto distorto non è difficile immaginarsi persino i Doors. Man-size sixtet è uno spettacolare esperimento di riarrangiamento orchestrale dell'omonimo e successivo brano, veramente ben riuscito: la suadente e aggressiva voce si muove leggiadra tra gli archi quasi "impazziti" in schizzofrenie di "noise" orchestrale, veramente buono. Highway 61 revisited, cover del grande Dylan, è buona ma è forse il brano meno originale dell'album, sarà la pretesa di avvicendarsi al mito, ma non stupisce, pur restando nel complesso accettabile e discretamente aggressiva.
50th Queenie è uno schizzo di grunge che sa vagamente di country, condita con coretti in falsetto che altro non fanno che dare maggior senso di soffocamento e "pazzia" alla peculiare voce dell'artista, il brano si conclude lasciando un retrogusto di punk delle origini. Yuri-G cerca di combinare cattiveria con una viola schizzata che compare sporadcamente nell'arrangiamento, ma lascia il segno, "incide", le urla quasi disperate di PJ rendono bene l'animo della canzone. Man-size è probabilmente il brano migliore dell'album, inizia come il primo brano, soffuso ma graffiante, ma lascia già intravedere il cuore del pezzo che esplode già dopo solo un minuto; dal testo davvero affascinante, che lascia l'amaro in bocca, Pj vuole comunicare, diventare sensuale confidente del suo pensiero. Il brano finisce inaspettatamente, rimanendo "sospeso" permane nella mente fino alla fine dell'album sebbene non abbia un ritornello particolarmente orecchiabile. Dry è un' altra ballata grunge che però sfonda solo fino a un certo punto, non aggiunge nulla di nuovo. La canzone sembra un brano dei Pearl Jam cantato sensualmente da una donna, sicuramente di grande effetto ma forse di dubbio senso, l'abbinamento sta poco in piedi e il monotono assolo non migliora le cose, il brano peggiore, anche se non è comunque inascoltabile. Me-Jane sa di nuovo di country, sensuale e scandalosa PJ racconta, assorta poetessa, i suoi pensieri più insidiosi.
Snake è breve ma prende nella sua vena ondeggiante, parla di un "serpente"... (che abbia copiato dal Kobra della nostra grande Rettore?!??), non è di difficile interpretazione il senso metaforico del testo, aiutato dall'urlante e presuntuosa voce. Ecstasy è il modo più innaturale ma anche più stupefacente per concludere l'album. Sembra quasi una ballata, ma è troppo disperata per essere considerata tale. Il titolo si addice decisamente alla canzone, PJ geme urlante "give me ectsasy", impreca, prega sottomessa. Ma fino a poco fa non era la dominatrice, comandante e viziosa, che è successo? PJ ci ha presi un pò in giro! è tutto un sogno, una fantasia un pò erotica un pò spaventosa che ci ha promulgato apertamente, ci ha resi partecipi di questo suo meraviglioso incubo, è questo che vuole dirci alla fine.
Album veramente stupefacente, forse un pò aspro al primo ascolto ma va ascoltato attentamente e compreso, ne vale veramente la pena.
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