Chissà cosa avrebbe detto la furiosa Polly che fu, se avesse potuto viaggiare nel tempo e osservare le movenze della nuova Pj: un'educanda, che chiede pentimento per tutte le sue cattive azioni. Chissà come avrebbe reagito Polly di fronte ai nuovi testi, che non parlano più di uomini che Polly vuole straziare, ma di sentimenti oscuri, come aquile che aleggiano sui corpi morti dei soldati. La nuova poetica della nuova Polly, sfocia in un rosario diviso in undici amuleti, che si impongono come sigillo di un'arte.
Polly è ora una santa? Un'educanda? Una fedele pronipote di Emily Dickinson? Può darsi, ma ciò che conta sono le parole e la musica ivi contenuta. Non sono mai riuscito a trattenere le lacrime, di fronte a queste splendide composizioni, che spesso non superano i 3 minuti. Sono semplici, ma non docili. Sono carne al fuoco che diventa spettro.
"Per favore non riproverarmi per quanto è diventata vuota la mia vita/ Davvero non so cosa sia successo/ Ho osservato la tua delusione finchè è divenuta incomprensibile/ Ti perdono/ O qualcosa di metallico sta strappando via il mio stomaco/Se pensi male di me, puoi perdonarmi?/ Ho tentato di imparare il tuo linguaggio/ Ma mi sono addormentata mezza nuda/ Irriconoscibile a me stessa" [Broken Harp]
Lo stile è totalmente stravolto, anche nei testi: Polly Jean stravolge anche il suo ruolo. Se una volta era lei a farsi rispettare, ora lo chiede. Chiede il perdono, attraverso versi laceranti. Parlando forse di una delusione d'amore o forse del timore di essere punita da Dio.
Ciò che conta è che in questo disco Pj Harvey ha messo tutto e niente.
Rinuncia alle chitarre elettriche, rinuncia alla cattiveria (qualche spettro del passato si ripresenta nella bellissima "Grow Grow Grow", ma è un evento isolato), rifugiandosi negli echi del folk più malinconico e austero, con l'unico sostegno del pianoforte e di qualche altro strumento appena accentuato.
Sotto il suo estro poetico si nascondono elogie al diavolo, a Dio, alla nonna morta, ad un ipotetico fidanzato. Senza trascurare la famiglia e i suoi complicati rapporti ("Papà è nell'angolo e giocherella con le chiavi/ Mamma è all'ingresso che cerca di andare via- Nessuno in ascolto" sussurra Pj Harvey nell'angosciante eco primordiale di "The Piano"), la perdizione dell'ego e del proprio animo, attraverso ambigue frasi d'amore perduto ("Quando sei sotto l'effetto dell'etere/La mente si desta/ma la consapevolezza del nulla/ L'istinto della sopravvivenza/Sono fistesa sul letto/Svestita dalla cintura in giù/Guardo il soffitto/ E mi sento felice) e elegie verso un'oscurita imminente, vista come amante o forse come una potenza succube (Cara oscurità/Ti va di coprirmi ancora?/Cara oscurità/Sono stata amica tua per anni/Vuoi farlo con me?/Carissima tenebra/Riparami dal sole sotto le parole che si scrivono/Le parole che si stringono attorno alla mia gola).
E' una nuova Pj, più pura, più adulta, più matura, che dopo la svolta esplosiva di un grezzo e stupefacente "Uh Huh Her" a deciso di incidere qualcosa di intimo e levigato. Canzoni di angoscia e di dolore, così tremendamente autunnali, che se ascoltate in estate, la stagione della gioia per eccellenza, fanno quasi inquietudine.
Le dita corrono sul pianoforte, senza osare di stuprarlo, come invece farebbe Diamanda Galas, senza tirarci fuori un demone improvviso come farebbe Nick Cave. No.
Lei vuole essere succube del diavolo, come canta nell'iniziale, stupefacente e minimalista "The Devil". Lasciandosi andare in fiabe post-realiste ("Grow Grow Grow"), la Harvey scrive le sue migliori melodie.
Sarà cambiata troppo, ma a me questa Polly continua ad emozionare.
"Colpita da una martellata/I denti si sono frantumati all'interno/Strappando via la lingua rossa/Guardo dentro il tuo scheletro/Le dita pizzicano/Dove sento le tue dita posate/Dita spettrali/Che muovono i miei arti" [The Piano]
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