Buonasera, sono qua seduto davanti al mio computer per parlarvi vivacemente di un contorto album, naturalmente forgiato dalla complicata mente di un grande artista: Plastikman. Bene per chiarire le idee a qualcuno di voi che leggerà questa recensione (e spero che le dovrò chiarire a pochi), Plastikman è solo uno dei tanti soprannomi attribuiti al compositore. L'artista è il signor Richie Micheal Hawtin.

Esso è nato a Banbury nell'Hoxfordshire in Inghilterra nel lontano 4 giugno, 1970. Successivamente si trasferisce in Canada precisamente in un sobborgo di Windsor in Ontario.

Fin da piccolo mostra grande interesse per la musica elettronica e ben presto diventa Disk Jokey, il ragazzo ancora non sà che la sua mente e il suo tipo di arte innovativa lo porteranno ad occupare un posto di prim'ordine nell'ambito della musica elettronica.

Ispirato fin dal principio a Jeff Mills, Hawtin è il massimo esponente (e uno degli ideatori) della corrente musicale elettronica che prende il nome di Minimale. Questo particolare tipo di musica è mirato a portare l'uditore verso un viaggio mentale, la caratteristica più evidente è la logorante (quasi stressante) ripetitività della musica stessa supportata da bassi sottostanti, all'interno di una composizione minimale possiamo trovare qualsiasi genere di rumore (versi di animali, rumori tipici della nostra vita quotidiana, parole o frasi per esempio) portato avanti con molteplici variazioni in corso d'opera.

Ma adesso concentriamoci sul motivo per cui sono qua: l'album "Musik", questo disco è il terzo album in assoluto per il compositore canadese e il secondo con il soprannome di Plastikman, è stato concepito nel 1994. 

Il disco è suddiviso in dieci tracce, si apre con "Konception" canzone che mescola omogeneamente la tipica ripetitività (con assenza di melodia) della minimale pura a ritmi musicali etnici creando un'atmosfera surreale e astratta ma allo stesso tempo concreta e densa, segue "Plastique" questa seconda traccia comincia con ritmi ricollegabili alla elettronica minimale per poi sfociare in pieno stile Hawtin in ritmi serrati e costanti inzuppati di atmosfere psichdeliche (specialmente sul finale), con i suoi 13 minuti e 3 secondi è la canzone più lunga del disco. "Kriket" è la traccia successiva; impressionante fin dal principio questa sessione minimale esprime a pieno il concetto precedentemente affrontato, il disco sembra risvegliarsi dal "sonno sognante" che ha portato avanti fino ad allora, l'ultima parte della traccia è un intro composto da atmosfere che portano alla quarta traccia forse la più ritmica, "fuk": molto aggressiva fin da subito si riallaccia alla sessione precedente e distrugge la melodia precreata per inserire bassi molto profondi e rumori di fondo molto taglienti e veloci in modo da creare una grande composizione. La traccia successiva è "Outbak" questa canzone costituisce un calo nel ritmo del disco le sonorità tornano ad essere lente e logoranti con atmosfere nel sottofondo veramente nauseanti (in senso vezzeggiativo naturalmente), "Ethnik" è la sesta e successiva sessione del disco, tantissime le percussioni presenti in essa macchiate regolarmente da atmosfere tedenti all'etnico, sembra esserci un'accellerazione molto rapida nel disco quando si apre "plasmatik"; composizione molto psichelica e sognante ma supportata da ritmi simili a quelli della precedente traccia. La traccia che segue è "Goo" che è anche quella più corta dell'opera (appena due minuti) si ritorna a ritmi blandi e ritmici, la penultima traccia è "Marbles" e sembra che il nostro artista voglia chiudere in bellezza il disco, la ripetitivita è veramente esagerata la mente dell'uditore riprende il viaggio nel mondo dell'ignoto, i rumori di sottofondo sembrano uno sciame di api pronte a colpire l'orecchio vulnerabile dell'audace ascoltatore (perchè per sentire un disco così dobbiamo essere molto audaci) il disco si conclude con "Lasttrak" che incredibilmente ha al suo interno voci e cori di natura sconosciuta, le atmosfere sembrano delirare con alti e bassi da capogiro, fistole acute in corso d'opera fanno quasi sobbalzare fino a quando si dislociano gli strumenti assemblati accuratamente e il disco lentamente ha una fine.

Questo disco è un vero e proprio viaggio per la mente di chiunque si cimenti ad ascoltarlo, sembra di entrare e uscire continuamente da un altra dimensione e alla fine si presenta una grandissima opera minimale associata con sonorità ambientali, in maniera da formare per certi aspetti un disco minimal/ambient veramente distinto. Spero vi sia piaciuta la recensione, e vi consiglio di ascoltare questo disco.

Buona giornata. 

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