Con i suoi arpeggi ripetuti e accattivanti, i bassi potenti e distorti e la drum machine 808 piena di hi-hats e claps come se non ci fosse un domani, la musica Trap in tempi recenti si è pian piano insediata in ogni possibile hit mainstream e non, definendo un nuovo sound ormai non più limitato alla sola Atlanta, la città dove le cosidette "trap house" (case abbandonate usate come spaccio di droga) hanno dato nome al sottogenere del rap più divisorio e al tempo stesso amato degli ultimi anni, ma presente in scala globale, dall'America passando per la Francia ed i paesi latinoamericani, fino ad arrivare in Italia con i tanto discussi Sfera Ebbasta, Ghali, eccetera.

Gli Stati Uniti restano comunque il paese più interessante per quanto riguarda la diffusione di questo genere musicale: negli ultimi tempi purtroppo si sta assistendo anche ad un certo appiattimento nello stile e nell'originalità dei nuovi rapper (vedasi il sopravvalutato Lil Baby) e fin qui tutto normale. In fondo la Trap ora come ora è il suono del momento, quello che tutti vogliono replicare e rifare alla perfezione al fine di conquistare le classifiche, il classico "deterioramento" di un fenomeno che esce dalla nicchia (chi si ricorda della dubstep? O peggio, del periodo "Emo"?)

Nel pentolone della trap però c'è anche Jordan Carter, in arte Playboi Carti, personaggio tanto discusso quanto amato: Carti inizia la sua carriera nel 2012 e fino al 2015 resta legato alla figura di underground rapper caricando i suoi pezzi prevalentemente su Soundcloud riscuotendo un discreto successo e costruendosi nel tempo una piccola fanbase. Poi, nel 2016 viene notato da A$ap Rocky e diventa pian piano una figura di supporto per la crew degli A$ap di New York e un testimonial del brand Vlone, creato dalla stessa A$ap Mob.

Nel 2017 esce il suo mixtape commerciale "Playboi Carti" che riscuote molto successo soprattutto grazie alla travolgente "Magnolia", una canzone che delinea perfettamente lo stile unico di cui Carti è il portavoce: un rap minimale in ogni suo aspetto, essenziale nella produzione (batterie, bassi e melodia ridotti letteralmente all'osso) e una ripetezione quasi ossessiva del ritornello, a mò di slogan. L'attitudine menefreghista e punk di Carti genera sia consensi che critiche, ciò non toglie che la sua unicità a livello di sonorità e di attitudine al microfono abbiano influenzato molto le produzioni Trap recenti (un paio di esempi: "The Race" di Tay-k, "Rubbin' off the paint" di YBN Nahmir, "Praise the Lord" di A$ap Rocky e Skepta solo per citare alcuni dei pezzi Trap più famosi).

Arriviamo così al primo album ufficiale: la prima cosa che si nota è quella cover che richiama un contesto prettamente punk: il pogo, i moshpit e gli stage dive con un backflip in perfetto stile Bad Brains. Con questo Carti vuole subito farci capire che il suo è un rap di indole punk, poco tecnico ed incentrato sull'essenziale: e già dall'intro (Long Time) le premesse vengono mantenute: melodia, batterie e testo sono tutti ridotti al minimo indispensabile però funzionano un sacco: Carti si diverte ad usare la sua voce come uno strumento, a volte in modo gigionesco e sopra le righe, eppure riesce comunque a creare un mood molto chill sopra dei beat psichedelici e allucinati.
R.I.P riconferma l'attitudine punk del progetto: sotto un basso distorto all'eccesso Carti senza un minimo di pudore continua a mugugnare versi e ad-libs come se non ci fosse un domani: con Lean 4 Real l'atmosfera si fa molto più dark e presenta uno Skepta che lascia il segno con il suo caratteristico flow dall'accento tipicamente londinese.
Man mano che prosegue l'ascolto però si comincia a notare la presenza di alcuni brani "filler" inseriti un poco alla cazzo di cane: è il caso della dimenticabile Old Money, di Poke It Out (con una Nicki Minaj parecchio fastidiosa e fuori luogo in un album del genere) di Home (KOD) e di Middle of the summer. Tutte tracce banalotte e tranquillamente intercambiabili, nonostante questo però il resto del disco presenta molti highlights: dall'allucinata "Love Hurts" con un Travis Scott in formissima, passando alla giocosa "Shoota" per poi arrivare al trittico di ignoranza assoluta con tre banger totali: Mileage con Chief Keef, la sognante No Time con Gunna e l'apoteosi assoluta delle tracce ignoranti e cazzone: FlatBed Freestyle, traccia ipnotica e con un replay value altissimo se si è amanti di questo tipo di sonorità, una vera chicca. Il resto dell'album prosegue tra alti e bassi con alcuni featuring di troppo (l'inutilità di Bryson Tiller, della Minaj etc..) e alcuni decisamente graditi (il leggendario Chief Keef e Young Thug su tutti).

In definitiva, "Die Lit" conferma nuovamente la schizofrenia e l'unicità un pò weird, un pò catchy di Playboi Carti. Gli unici difetti che si notano ascoltandolo sono alcune collaborazioni fuori contesto e quelle traccie riempitive poco riuscite e tranquillamente evitabili. Resta comunque uno dei progetti più particolari ed interessanti del 2018 senza ombra di dubbio, consigliato se non ve ne frega un cazzo del rap vero e proprio e volete soltanto qualcosa di leggero da pompare violentemente in macchina il lunedì mattina sulla vostra nuova Maserati.

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