Io non voglio essere il meglio, ma fare del mio meglio.

La musica spogliata di ogni cosa, del suono, della melodia, del cantato, della parola.

Nel genere che più di tutti si basa sulla parola, dove la prolissità la fa da padrona, l'unica cosa possibile è appellarsi al minimalismo. Less is better.

La musica ridotta a mera immagine: meglio indossare i panni della rockstar, prima ancora di esserlo. Flirt con la cultura punk, un matrimonio (fedifrago) con il satanismo, ma solo per farsi vedere. Solo per portarlo su Instagram, solo per poter rivestire quell'estetica. Perché fa figo. E perché nell'epoca dell'immagine, funziona. Ci fai i milioni. Cibo per la meme culture internettiana.

Bassi distorti, assordanti, batterie sincopate e qualche synth, ma giusto una spruzzatina. Un suono claustrofobico, ossessivo e alienante: 3 stronzate su coca, soldi e puttane sbiascicate e ripetute continuamente per tutti i 24 pezzi, per più di 60 minuti. Un cantato...cioè no, volevo dire, un ragliato estremo, portato a livelli quasi intollerabili dall'udito. Un nuovo modo di intendere la musica pop. Forse.

Signori, il disco dell'anno. Quello che non volevate, quello che destabilizzerà i vostri già precari equilibri: siete già morti e nemmeno lo sapete.

Whole Lotta Red lo sa, lo ha sempre saputo.

Immaginate un'altra vita e postatela sui social: tanto siete già morti.

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