Riuscire ad infilare un capolavoro in una discografia non è cosa da tutti, ancor meno da tutti è infilarne almeno (e dico almeno) quattro, questo è quanto fecero i Polvo negli anni 90, tra le cose migliori uscite dalla scena indie americana di quegli anni, le chitarre di Bowie e Brylawski sono state le più geniali ed inventive del periodo (insieme a quella di Duane Denison, doveroso dirlo) questo ep datato 1994 fa parte della sfilza di capolavori tirata fuori dai nostri. I Polvo sono i Polvo e... cazzo non c'è niente da fare, sono storti, meravigliosamente storti, sono un' anomalia vivente, indie rock trasandato cammuffato da math-core oppure math-core cammuffato da indie rock trasandato, alla fine non importa, perchè questi ci davano assai dentro e con una personalità tale da essere quantomeno unici e non somigliare a nessun' altro, ed anche questo non è da tutti. Questo ep rappresenta forse l' apice per quel che concerne il puro songwriting della band, dal suo souno secco, impastato in dense viscosità noise fuoriescono delle gemme sbilenche ed intricate, "Tragic Carpet Ride" è semplicemente debordante, ansiogena, nevrotica e con una cazzo di melodia che ti si stampa nel cervello, le strutture dei brani sono deformi, come nel caso della pazzesca opener "Fractured (Like Chandeliers)", tutto un susseguirsi di caos organizzato e svolazzi noise puntellati da melodie strepitose, ci sono poi episodi come "City Spirit", "Solitary Set" o lo strumentale "Old Lystra", enigmatiche, sfuggenti e contorte su loro stesse in trame disordinate e circolari. Il disco è trabordante di un' espressionismo istintivo, in "Every Holy Shroud" la foga esecutiva e le intelaiature sonore razionali collidono in maniera decisiva, generando sconvolgimento e confusione, un continuo scontro tra raziocinio e istinto, il cerchio si chiude con "Virtual Cold", un' intorpidito, ipnotico e melanconico moto circolare posto sul finale di questa celebrazione della nuova età oscura.
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