Un po' del nostro tempo migliore, album uscito nel Febbraio del 1975, è un album che lascia alquanto interdetti gli ascoltatori dei Pooh.

I Pooh, indiscussi padroni della scena Pop-Rock Sinfonica nei primi anni '70, hanno in un certo verso capovolto quei capisaldi che facevano sì che i Pooh fossero famosi e ricchi.

Basati pensare ai due singoli del '71 "Pensiero" e "Tanta voglia di lei", singoli che vendettero più di un milione di copie in Italia.

Da "Opera prima" oltre a cambiare i componenti del gruppo, hanno cambiato radicalmente il loro modo di far canzone.

Sì, è rimasta l'orchestra, ma i testi e le melodie, completamente stravolti, hanno colpito i fan, che hanno reagito negativamente a questa voglia di evoluzione, lasciando praticamente invenduti sia questo album, che il suo seguito, "Forse ancora poesia".

Un po' del nostro tempo migliore è un album che definirei pressoché perfetto.

Senza dubbio l'apice del rock sinfonico. Basti pensare che l'abum si apre con le note di "Preludio", esattamente come i preludi delle grandi opere liriche. L'influsso di Puccini è evidente in Facchinetti, e le melodie che compongo il disco (tutte sue, a parte Mediterraneo, Orient express scritte insieme a Battaglia) ne sono le più chiare testimoni.

Dopo Preludio, un capolavoro dopo l'altro:

"Credo", oltre ad un testo sognante mette in risalto la potenza lirica del grande tastierista bergamasco;

"Una storia che fa ridere" si apre con un cantato di Battaglia, accompagnato solamente dall'eco della sua voce, e descrive la fine del rapporto tra due ragazzi perché la donna si innamora del migliore amico di lui. Meraviglioso il finale, in cui l'uomo si prende la rivincita "Via di qui, per favore via, aprirò le finestre e poi, se mi viene, io ne riderò.";

"Oceano" è lo sguardo di un uomo verso l'immensità. Fondamentale l'uso del clavicembalo di Roby, che fa qui la prima apparizione;

"Fantasia" è un'altra perla, in cui ad una melodia allegra (completamente acustica, solo con la chitarra di Dodi) si contrappone un testo amarissimo, l'illusione, l'evadere nei sogni di una ragazza, che poi però apre gli occhi e riscopre la sua triste realtà "Con triste tenerezza intorno a noi vedrai, il mare nell'acquario e il fuoco spento ormai, la stanza di un ragazzo e non sorriderai.";

"Mediterraneo" è uno strumentale in cui su un giro molto semplice si susseguono vari strumenti (dal mandolino di Red allo xilofono di Stefano);

"Eleonora mia madre" è un ritratto del decadentismo e del gusto retrò che stregavano Lucariello (produttore del gruppo) e tutti i componenti, tra cui Stefano D'Orazio, alla sua prima apparizione come autore di testi;

"1966" è la perla del disco. Il titolo può rimandare a tante cose, sia all'esordio discografico del gruppo, sia alla storia d'amore finita tra due persone, nel quale l'uomo chiede alla donna di guardarlo senza paura e odiarlo solo quando lui si arrenderà. Struggente, emozionante, bello.

"Orient express" è un brano gradevole, che narra di un amore consumato sul famoso treno tra il protagonista ed una donna straniera.

"Il tempo, una donna, la città" è il brano migliore del disco, insieme a 1966. Negli oltre dieci minuti di canzone, un brano epico, cantato a tre voci che si alternano, la chitarra di Battaglia raggiunge il massimo dell'espressività quando suona le stesse note del cantato di Red. Da brivido. E poi il testo è un capolavoro, con quella chiusura finale che lascia aperte mille ipotesi "l'aria si chiude al silenzio e poi s'alza la polvere intorno a noi. Io chiudo gli occhi, li riapro, e..." e una coda strumentale di oltre due minuti, con un coro che si unisce all'ensamble dell'orchestra.

Il disco più bello e più sottovalutato dei Pooh. Senza dubbio.

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