Nosferatu, il Principe della Notte: la macchina da presa scorre lentamente - da destra a sinistra e viceversa - sulle file di corpi mummificati che si trovano al Museo messicano di Guanajuato, evocando suggestioni che raggelano il sangue e sigillano fin dai titoli di testa l'atmosfera empatica che pervade l'intero film.

Il maestro Werner Herzog aveva filmato le mummie nel 1960 (circa) e solo nel 1978 utilizza il girato nella lavorazione di un'opera ufficiale della sua già notevole filmografia. Mai scelta fu più azzeccata, soprattutto in virtù del fatto che le musiche scelte sono composte ed eseguite dai Popol Vuh del compianto Florian Fricke. L'aderenza tra musica e immagini è travolgente, aggettivo forse poco consono alla lentezza quasi metafisica e rituale di questo incipit di film, ma idoneo a descrivere la profondità di coinvolgimento che ha sullo spettatore.

I cori oltretomabali del lungo brano "Bruder des Schattens- Sohne des Lichts", contrappuntati dal lamentoso suono di flauto, accompagnano la visione dei volti antichi e attoniti appoggiati alla pietra umida, prima di seguire il volo al rallentatore di un pipistrello nero. Dilungandosi in questo viaggio agli inferi in cui nulla di umano si muove ed è solo il simulacro del vampiro a dare segni di vita, la suite dei Popol Vuh si evolve maestosa trascinando la mente verso le spettrali foreste dei Carpazi. E poi, stemperandosi in un più rassicurante arpeggio di corde, verso gli autunnali colori della cittadina di Wismar, adagiata come un quadro fiammingo sulle acque ferme dei canali che arrivano al Baltico.

Come era già accaduto per il capolavoro "Aguirre", dove il tema musicale si sposava con eccezionale sinergia ai paesaggi andini e alle tragiche vicende del kinskiano conquistador, anche in "Nosferatu" la collaborazione tra Herzog e i Popol Vuh si dimostra vincente. Per quanto il contributo di Fricke e soci sia comunque limitato al lungo brano iniziale e a qualche frammento minimalista nel corso del film (la scena del saluto tra Mina e Jonatan sulla spiaggia), la forza di questa colonna sonora si misura indubbiamente sul suono che il gruppo seppe creare per questa pellicola.

Di fatto il regista riuscì ad inserire sapientemente partiture classiche in diversi passaggi narrativi che, probabilmente, richiedevano una dimensione storica più incisiva. Ed ecco allora brani dai "Nibelunghi" di Wagner e da una Messa di Gounod, che si collocano su un altro piano rispetto ai mantra dei Popol Vuh. Tuttavia, è la musica di questi la vera cifra stilistica sonora dell'opera, capace di restituirci quella dimensione atemporale ed esoterica di cui il film necessita per andare oltre la semplice linea del racconto. Questo "Nosferatu" infatti è il remake di un film del 1922, muto, in bianco e nero, capolavoro di un Espressionismo che alla fine degli Settanta certamente non poteva essere che riproposto con una lettura nuova, bisognosa di uno sviluppo narrativo e scenografico consono al colore (e alla messa in scena del modus herzogiano) e ai gusti di un pubblico che stava per riscoprire la fascinazione gotica. L'atout della colonna sonora originale genera così un punto cardine che permette al regista di rinnovare gli stilemi dei personaggi di Murnau vestendoli di suggestioni più moderne, pur senza perdere per strada la connotazione strettamente epocale del racconto.

In tal senso, un brano come "Brude des Schattens" è perfetto: le sonorità e la struttura scivolano tra i generi senza marcarne alcuno, diventando il sugello onirico di questa dimensione ancestrale che fa venire i brividi e trasporta lontano,

Nell'album figurano anche altri brani, di cui almeno uno già parte del repertorio dei Popol Vuh. Si tratta di composizioni molto gradevoli e incisive, che però risultano meno calzanti nel contesto della colonna sonora; infatti appaiono solo marginalmente - come detto - nel corso del film; che tra l'altro avendo circolato in una versione con montaggio alternativo (più breve, senza almeno due scene importanti), dà adito al dubbio che in origine le musiche dovessero avere un maggiore rileivo. 

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