Ormai l'attesa per l'ultimo lavoro in uscita di uno dei miei gruppi preferiti era diventata quasi snervante; lo sognavo anche la notte ripetendomi almeno 100 volte al giorno sempre le stesse domande: come sarà? Proseguiranno sempre sulla stessa soglia di "in absentia" e del precedente "deadwing"? Torneranno al passato riprendendo il sound, molto più psichedelico e pinkfloydiano di adesso, che veniva esibito in album come "the sky moves sideways" e "signify"?

Adesso ho 'fear of a blank planet' tra le mani e non posso far altro che rimanere stupefatto, ancora una volta, dalla genialità di quest'uomo (il grande Steven Wilson) e di questa band che non smette di salire, album dopo album, verso vette inarrivabili; verso posti in cui la gente comune non pensa e soprattutto non può arrivare.

Appena l'ho avuto tra le mani mi sono commosso, e non potendolo ascoltare subito (visto che non sono munito di radio nella machine e soprattutto abito a 40 chilometri da ct, luogo in cui l'ho acquistato) il mio stato d'animo si è messo in trepidazione assoluta! Arrivato a casa, nemmeno il tempo di riposarmi per il viaggio, già il cd era nel lettore iniziando così la fase di stupore, sorrisi e lacrime di commozione che ne consegue l'ascolto. Le mie domande hanno trovato risposta... la verità sta in mezzo ad esse: rielaborazione del passato, idee nuove e appeal quasi metal condito da psichedelia vecchia e nuova che si danno battaglia sullo stesso campo mentre intorno l'aria si fa cupa e spettrale.

Ma passiamo nei dettagli: l'album si apre con la title-track e già si capisce da subito che atmosfera si respirerà da li a poco; il pezzo cresce, tra fantastici tappeti di synth, ad opera del sempre sorprendente Richard Barbieri, chitarre che si avvicinano al metal facendosi sempre più cupe ed intense e voci e aperture in ritornelli semplicemente sensazionali, fino all'esplosione centrale in odore di prog rock kingcrimsoniano.

Si passa così alla seconda traccia, my ashes, dove tutto si fa più dolce ed intimista con l'operato di una sezione d'archi vera a disegnare saliscendi emotivi che farebbero venire la pelle d'oca anche al più cinico e spietato tra voi; forse accostabile a quella lazarus dal precedente lavoro che aveva fatto gridare allo scandalo per la troppa commercialità, seppur posta su un gradino superiore in quanto a ricerca d'atmosfera e stratificazioni di arrangiamenti.

Ma è con la terza traccia, anesthetize, che si arriva al capolavoro assoluto dell' album, destinata a diventare una delle più belle e riuscite suite della band accanto alla sensazionale e indimenticabile "the skie moves sideways" dall'album omonimo del '93. Divisa in tre sezioni differenti: la prima quasi tribale con influssi tooliani qua e la, tastiere a creare il sostrato su cui si poggiano inesorabilemente gli altri strumenti ma soprattutto con armonie e stratificazioni atmosferiche che portano non poco alla mente certo rock psichedelico anni 70 (pink floyd in primis),il tutto condito dalla solita voce sognante ed elegantissima del solito Wilson; un assolo del guru Alex Lifeson(dei seminali rush), degno della sua classe, fa da spartiacque a quella che è la seconda parte del pezzo; l'atmosfera muta e si fa più pesante ed istintiva, la marea si alza, si eleva su chitarroni heavy che non possono che portare ad una stupefacente quanto inaspettata frazione metal, che nel peggiore dei casi si rifà al thrash metal più tecnico e death oriented, tanta è la voga con cui vengono violentati gli strumenti, sempre prendendo in considerazione che sono i porcupine tree a suonare... fa il suo ingresso così la terza ed ultima parte, dove l'atmosfera muta nuovamente facendosi sognante e malinconica, ricordando non poco il passato della band, quello di album quali stupid dream e lightbulb sun; un crescendo emozionale porta alla conclusione tale capolavoro, dove i 17 minuti di durata non pesano per nulla e il tutto scorre senza alcun intoppo.

A chiudere l'album ci pensano le atmosfere vagamente anathemiane di sentimental, in cui viene ripreso nel finale un riff da Trains (brano dell'indimenticato 'in absentia')e in cui si sente tutta la classe compositiva di questi uomini straordinari; subito seguita dall'oscura e mentale way out of here, dove fa anche la sua figura un disegno di soundscapes del maestro Robert Fripp (chitarrista e mente principale dei succitati king crimson); il pezzo sale, inesorabilmente, fino ad aprirsi in un ritornello sognante e con voce mega effettata portando il tutto ad una parte conclusiva metal e scandita che ricorda non poco certi tool e anche certi mastodon più tranquilli, intervallato da sprazzi di ritornello che ammorbidiscono preparando alla sferragliata successiva; grandiosa!
La conclusione spetta al pezzo più cupo ma anche più semplice, schematicamente parlando, del platter: sleep together. Bellissima la sezione orchestrale che soprattutto nel finale disegna fraseggi ed armonie vagamente mediorientali che portano il tutto ad un livello superiore e di classe infinita, come d'altronde ci hanno insegnato loro stessi.

Così finisce e si conclude un album magistrale per tecnica, atmosfere, emozioni e classe emanata. Che dire ancora, l'album è un quasi-concept (quasi perché non è una storia raccontata bensì brani con tematiche uguali) che mette in scena lo sdegno per una generazione, quella che va dai ‘90 in su, che cresce con un vuoto incolmabile, bombardata da media, computer, e informazioni a raffica, incapace così di poter immagazzinare e di poter avere il tempo per arricchirsi culturalmente, per poter leggere un sano e benefico libro ad esempio... il bambino in copertina, con quegli occhi vuoti e senza espressione è la perfetta immagine che poteva rappresentare al meglio tale problema.

I porcupine tree non finiscono mai di stupirmi... li ho amati da sempre e li amo tutt'ora, riescono a farmi provare emozioni disumane con tutta la classe di cui dispongono. Proseguono sulla loro strada, sperimentando, album dopo album, nuove forme di espressione, ma mantenendo un livello complessivo sempre altissimo, e questa è soltanto prerogativa dei grandi.

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