Il vortice del tempo stava per inghiottire anche gli anni novanta e una strana commistione di luci e ombre stava per avvolgermi.

Già da qualche anno avevo cominciato a coltivare il mio speciale non senso per la vita. Ascoltare in quegli anni “Disintegration” dei “Cure” , “OK Computer” dei “Radiohead” e “Stupid Dream” dei “Porcupine Tree” fu un vero sollievo perché mi sottrasse all’obbligo di non piangere: quel dolore “cosmico” liberato da quella musica fece scendere dai mie occhi lacrime che per troppo tempo avevo represse. Le scintille di quell’ acqua salata crollavano ed esplodevano per terra, trasformandosi in frammenti di specchio che deformavano il mio volto. Ero finalmente libero di mostrare i fiori malati del mio amore. Qualche anno più tardi fui felice di ascoltare Fossati cantare: “Sono colpevole di aver nutrito l’amore e altre deviazioni, come la malinconia, come la nostalgia” . Non so se per tutti voi quelli furono anni belli… io so solo che per me furono ferocemente e crudelmente importanti. Forse non avrei dovuto cominciare questa recensione in questo modo ma le sensazioni legate a questa musica non riesco a deviarle, a lasciarle indietro. Non ho bisogno di riascoltare questo album per ripercorrerne i diversi momenti.

Chiudo gli occhi e ripenso a “Even Less” , con le sue tastiere che introducono le risate di una ragazza lontana, e poi il suono interlocutorio di una chitarra che diviene improvvisamente duro ed epico… e ancora atmosfere oniriche su cui si staglia la voce di Steven Wilson che ci porta sulla spiaggia di Norfolk. Si vede un mare cupo, invernale, rischiarato da qualche raggio di luce che rischia di farti ardere di nostalgia. Improvvisamente arriva “Piano Lessons” che ti scuote con la sua energia e ti consente di rilassarti solo in alcuni istanti. Sembra acqua fredda che ti scorre sul corpo la mattina presto per tonificarti. Dopo questa energia si chiudono nuovamente gli occhi e si recuperano i frammenti onirici della notte attraverso “Stupid Dream” . Una chitarra acustica ed un pianoforte introducono “Pure Narcotic” : sembra una passeggiata mattutina fra la rugiada della campagne che rilassa e mette di buon umore. Peccato che il senso di inadeguatezza affiori di tanto in tanto in questa dolce passeggiata: “Mi dispiace di non essere come te” . Colin Edwin irrompe con un ipnotico giro di basso su cui Chris Maitland costruisce la ritmica di “Slave Called Shiver” . Steven Wilson si aggira in questo brano con uno strano senso di oppressione a cui reagisce con la rabbia della sua chitarra. Comincia a salire un senso di angoscia serpeggiante quando risuonano le note di “ Don’t Hate Me” : l’ accidia del brano stringe la gola per venire interrotta solo quando Wilson canta angosciato: “Non odiarmi, non sono speciale come te” . Il brano si evolve ancora immergendoci nelle nebbie di sogni evanescenti dove emergono i fiati di Theo Travis e le tastiere di Richard Barbieri. Il brano termina con un assolo di Wilson che ci culla con la sua bellezza.

Ci si desta ancora con “This is No Rehearsal” : Wilson gioca molto bene con il pedale wah wah durante l’ assolo per poi condurre la band verso un finale adrenalinico del brano. “Baby Dream In Cellophane” ci mostra il mondo attraverso la lente deformante di un leggero narcotico: tutto ha una strana logica ed è strano cercare di fare di più. Ritroviamo nuovamente aperti i nostri occhi con “Stranger by the Minute” : sembra di vedere scorrere il mondo e il tempo attraverso i finestrini di un aereo e la chitarra di Wilson ci invita a volare. Silenzio. Incomincia l’ arpeggio di una chitarra acustica che ci conduce in un lento vortice di nostalgia siderale, dove ogni nota è un dolcissimo veleno… si respira lentamente… e poi il cuore si apre inseguendo le traiettorie delle scale pentatoniche di Wilson. Il veleno comincia ad entrare in circolo ed il sogno cosmico diventa incubo in “Tinto Brass” . La batteria ed il basso sono un unico cuore che batte rapidamente, specchio delle visioni evocate dal flauto di Travis. Improvvisamente il respiro affannoso si mozza con l’ entrata in scena violenta della chitarra di Wilson. Siamo alla fine. Gli occhi spalancati per l’ incubo si richiudono improvvisamente in un quieto dolore, lento: “forse è il momento di smettere di nuotare” ci sussurra Wilson in “Stop Swimming” . Per alcuni fragili visionari è facile immaginare di sprofondare nel mare e vedere la luce del sole allontanarsi e svanire mentre il proprio corpo va giù… sempre più giù… sempre di più. Dopo aver visto il buio abbiamo esorcizzato la morte… e adesso la vita è un’ avventura che bisogna vivere.

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