Sarebbe inutile ancora una volta di più paragonare i Porcupine Tree ai Pink Floyd, ed inopportuno, considerando che non solo si parla di due modi di concepire la musica comunque differenti ma anche che sarebbe un’ offesa non di poco conto svalutare in questo modo le loro qualità.
Innanzitutto, doveroso rispetto alla genialità e alla creatività di Steven Wilson che, sebbene abbia ammesso più volte di essere cresciuto -musicalmente parlando- con “The Dark Side of the Moon” , ha dimostrato a lungo andare un certo fastidio per gli irriguardosi -a mio avviso- accostamenti a Roger Waters e David Gilmour.
Il miglior modo per avvicinarsi all’ascolto dell’ album? Un totale disinteresse per sciocche congetture sui debiti nei confronti del rock psichedelico anni ’60-’70 ed un intento di godersi della buona musica, abbandonandosi ad essa e ad essa soltanto. Solo in questo modo si potrà apprezzare appieno questo lavoro in studio datato 1995, una sorta di pomo della discordia che per certi versi rappresenta il primo periodo dei Porcupine Tree (influenzando anche il songwriting del successivo “Signify”), periodo che poi lascerà spazio ad una tendenza maggiormente “ progressive” in senso lato, inaugurando con “Stupid Dream” (1999) una lunga stagione che vedrà la schiera degli ammiratori dividersi, dubbiosi se accettare la nuova verve artistica o rimanere ancorati alle produzioni originarie del gruppo inglese. Ci si potrebbe interrogare su una presunta evoluzione o involuzione nello stile ma, a mio avviso, si è verificata la naturale trasformazione di una band che non ha voluto rimanere statica e insensibile a nuove influenze provenienti anche da ben altri generi musicali: basti ricordare la collaborazione di Wilson nella produzione e nell’ arrangiamento di tre splendidi album del gruppo metal degli Opeth e la sua amicizia con il leader della suddetta band, Mikael Åkerfeldt, rapporto che porterà ad interessanti spunti nelle fatiche discografiche da entrambi le parti.
Tuttavia non bisogna considerare il full-length qui analizzato come un’ opera obsoleta o anacronistica; sebbene le melodie abbiano chiare reminiscenze pinkfloydiane (mi dispiace metterlo così tanto in evidenza), “The Sky Moves Sideways” è un prodotto artistico attualissimo, che offre nel complesso la possibilità di intraprendere un intimistico viaggio onirico, che catapulta l’ascoltatore tra miraggi animati da suoni e luci distorti e sfuggenti, circondato da sbiadite presenze intangibili.
"In the dream dusk
We walked beside the lake
We watched the sky move sideways
And heard the evening break"
Un’intro strumentale da pelle d’ oca e il trip ha inizio! L’atmosfera sognante dell’evanescente tappeto sonoro ci conduce per mano fino ai primi versi interpretati -più che cantati- davvero suggestivamente da Wilson (“We lost the skyline… ”) e al suo assolo di chitarra, fino a sfumare in una parte strumentale altrettanto ricca di trepidazione che arriverà fino alla conclusione del pezzo: è la prima parte della toccante suite “The Sky Moves Sideways”. Con “Dislocated Day” il viaggio subisce una brusca e repentina accelerata per ritornare poi a ritmi più blandi e riflessivi con “The Moon Touches Your Shoulder” e l’inquietante “Prepare Yourself” (un avvertimento?), triade che introduce perfettamente gli altri due pezzi da 90 dell’ album. La melanconica e -oserei- claustrofobica “Moonloop” imprigiona l’ascoltatore isolandolo via via sempre di più in una violenta tempesta a cui sembrerebbe -il condizionale è d’obbligo- seguire la quiete di leopardiana memoria: siamo all’epilogo, la seconda parte di “The Sky Moves Sideways”. Linee di basso pulsanti, tastiere che individuano armonie cariche di pathos e la voce eterea della guest Suzanne Barbieri, fino all’esplosione di assoli chitarristici di alto contenuto emotivo nella psichedelia più malata. Il piacevole suono della risacca ci conduce alla fine del viaggio, tornati da uno stato di incoscienza forse più sereni, forse più disillusi, sicuramente cambiati… almeno in minima parte.
Il voto, PERSONALISSIMO: 7,5
Breve motivazione, anche questa PERSONALISSIMA: negli anni che seguirono questo grande album i Porcupine Tree seppero trovare un’ identità musicale che a mio avviso ha reso impossibile qualsiasi serio paragone con i soliti Pink Floyd, il voto non deve apparire basso perché bisogna pensare a capolavori quali “Stupid Dream”, a mio avviso davvero sorprendente e di una fattura molto più pregevole.
Infine, un ringraziamento a Wilson, per quello che mi dona, che ci dona.
Tra gli artisti più sottovalutati, senza di lui la musica sarebbe assai più povera.
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