Una porta che si apre cigolando. Dei passi lenti, fieri quasi ritmati. Un'atmosfera lugubre, angosciante. In sottofondo si riesce a percepire una voce che pare inquieta, mentre scandisce flebile le sue ultime preghiere. Poi qualcosa sbatte di colpo serrando, uno dopo l'altro, i suoi battenti. La musica fa la sua comparsa ingorda e letargica allorchè delle grida lancinanti, come fossero conscie del proprio destino, squarciano l'ambiente: hanno inizio i giochi. Le chitarre paiono freddo e ruvido acciaio che perforano insolenti le membra carnose, basso e batteria intavolano alla perfezione un contorno folle e martellante, l'ugola crea spasimo fino al ritornello, dove la melodia si fonde alla disperazione ed allo sgomento...e Macello sia.
No, fermi... non cerco di disgustarvi con qualche lavoro di putrescente concezione; lo scenario descritto non è altro che un personale affresco di ''Slaughterhouse'' (cinematograficamente ripreso l'anno successivo dal maestro David Lynch nel film Cuore Selvaggio), devastante opener del primo (e purtroppo unico) album ''Absolute Power'' degli americani Powermad, diventati, nel tempo, vera e propria band di culto per tutti coloro che masticano Thrash metal raffinato e selvaggio allo stesso tempo. Immaginatevi John Petrucci e Micheal Romeo jammare insieme in un progetto Speed/Thrash carico di influenze classiche alla Judas Priest ed otterrete una definizione abbastanza vicina alla proposta di questi buontemponi di Minneapolis, arrivati alla pubblicazione di cotanto debutto nel 1989, grazie alla fiducia della major Combat, dopo un paio di EP (Powermad e The Madness Begins...) e comunque senza avere una vera e propria gavetta alla spalle. Fu proprio questo il motivo della loro precoce scomparsa: la moda stava finendo e, non avendosi creato negli anni un adeguato seguito di fan in giro per concerti (come avevano fatto Exodus o Kreator e pochi altri), nel momento in cui la label li scaricò, si ritrovarono malauguratamente soli e col culo per terra.
''Absolute Power'' rappresenta una delle più sagaci testimonianze di come si potesse fondere classe e virtuosismi alla velocità esecutiva nuda e cruda alternando momenti di assoluta baldoria (la siderurgica ''Test The Steel'' o gli stop & go dell'accattivante titletrack) a episodi più ragionati e strettamente melodici (l'orecchiabile ''Nice Dreams'' con le sue linee armoniche ancora freschissime a più di vent'anni di distanza oppure l'arpeggio iniziale di ''Plastic Town''). L'impressione è, comunque, che tutti i brani facciano la loro splendida parte nel computo finale (l'unica eccezione per me resta la lugubre ''Brainstorms'' seppur piacevole negli ascolti), valorizzate appieno dalla congeniale produzione, raggiungendo punte di bellezza assolute: è il caso di ''B.N.R.'' che viene introdotta da una parte solistica squisita che si sviluppa in una rasoiata eccezionale dove trova spazio la migliore prova vocale del platter (Juel DuBay non sarà un fulmine di guerra ma il suo timbro è senz'altro riconoscibile); o di ''Final Frontier'', posta non a caso in chiusura, la quale ci travolge con un suono iniziale delle chitarre imponente che dipinge passaggi stretti da capogiro deflagrando poi nell'orgasmico refrain; infine la tritaossa ''Return From Fear'' con il suo uso smodato di riff in palm-muted da mosh che anticiperanno alcuni trucchi sui quali gente come Pantera (ma non solo) costruirà intere carriere.
Se, ipoteticamente, mi vennisse chiesto di consigliare 10 album di Thrash Metal americano di ''seconda fascia'' a dei poppanti vogliosi di distruggersi le orecchie per la prima volta, non esiterei nemmeno un attimo ad includere questo ormai polveroso ''Absolute Power'' nella lista nera, forte di pezzi memorabili (più uno da tramandare ai posteri), ma soprattutto di un senso d'autorevolezza stilistica pressochè unico che vi farà rimanere impressa la sua adrenalina almeno fino alle prime avvisaglie dell'Alzheimer.
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