Due settimane fa è stato il mio compleanno, e anche se è un abitudine ormai consolidata, alcuni miei amici non accettano il fatto che gli debba dire specificatamente che regalo, o regali, voglia ricevere. Anche se direi che è cosa buona e giusta, non vorrei mai trovarmi, conoscendoli, con l'ennessimo libro del Trono Di Spade, o con prodotti per la pelle che non userò mai. E allora per cercare di assecondarli, almeno leggermente, gli ho fatto una lista di dischi che avrei voluto, dei quali loro ne avrebbero dovuti scegliere tre. Risultato, I Nuclear Assault con "Game Over", "Epitaph" dei God Is An Astronaut"... E "Future World" dei Pretty Maids.

Ma come i Pretty Maids? Ma quando li ho scritti? In quel momento però non me la sentivo di discutere la scelta, quindi il giorno dopo a casa mi rimetto su il disco dei Pretty Maids, e mi accorgo di ricordare ogni singola nota. Come quei dischi che ascoltavi distrattamente quando avevi 15 anni per impararti solo il ritornello, e fare il figo davanti ai compagni di scuola atteggiandoti come massimo cultore musicale. Solo che il problema era che non ricordavo in che preciso momento l'avessi sentito. Ma poco importava, perchè l'album scorreva benissimo, e ogni volta che finiva ero pronto a ripartire da capo.

Una musica basata su un uso di tastiere, ritornelli accattivanti, e una voce carismatica e personale. Questi erano, e sono ancora, i Pretty Maids, band danese formatasi nel 1981 per mano del chitarrista Ken Hammer e del cantante Ronnie Atkins, un gruppo che seppur abbia rilasciato dischi molto convincenti nella propria carriera, non ha mai avuto quella popolarità che meritava. Una storia purtroppo sentita e risentita per molti altri gruppi. Dopo l'esordio nel 1984 con "Red Hot And Heavy", disco nella quale figura il pezzo "Back To Back", coverizzato anni dopo dagli Hammerfall nel loro debutto, i Pretty Maids danno alle stampe quello che è considerato il loro lavoro migliore, "Future World" appunto.

Influenzati da gruppi come KISS, Sweet e Uriah Heep, la formazione danese riesce a produrre un disco sfacciatamente AOR, pur restando in un campo strettamente heavy metal. A rendere il disco ancora più incisivo, è il timbro di voce già citato di Ronnie Atkins, melodico e graffiante allo stesso tempo, che conferisce ai pezzi un alone più marcato in momenti dove l'eccessiva melodia potrebbe risultare fastidiosa.

Ne sono l'esempio canzoni come la Titletrack, dove fra un riff diretto, tastiere mai invasive, e l'ugola di Atkins che in alcuni momenti ricorda la voce più sporca di Hansi Kursch dei Blind Guardian, il talento dei Pretty Maids emerge a pieno. Discorso simile può essere fatto anche con "We Came To Rock", anche se decisamente più sfacciata e commerciale nel ritornello, mentre con "Love Games" sembra quasi di sentire i Journey di "Escape". L'album è riportato su territori più diretti con "Needles In The Dark", mentre con "Loud 'N Proud" sembra di risentire i Magnum delle sonorità di "Vigilante".

E se "Rodeo" scorre senza destare chissà che attenzione nella sua semplicità, è "Yellow Rain" ad ergere come uno dei migliori pezzi del disco. Atkins riesce a giostrarsi alla perfezione fra momenti più delicati, e altri dove si spinge l'acceleratore, mentre Alan Owen alle tastiere riesce a creare un atmosfera che ben si adatta al testo della canzone, la guerra in Vietnam e il ritorno dei soldati, considerati eroi alla loro partenza, e criminali al loro ritorno.

"Future World" è quindi un disco che riesce, seppur non inventi nulla già sperimentato anni prima, a risultare fresco all'ascolto, grazie a soluzioni musicali quasi mai noiose e che saranno poi sviluppate allo stesso modo nel successivo "Jump The Gun / Lethal Heroes". I Pretty Maids continueranno poi negli anni a seguire a rilasciare dischi sempre di buon livello, ma le sonorità di questo disco non saranno mai più raggiunte. Forse il disco che capita solo una volta nella vita di comporre, ma l'importante alla fine è che ci sia. Una gemma Heavy Metal / AOR da riscoprire.

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