I Primal Scream: una delle band più incredibili dell'ultimo ventennio.

Esordiscono nel 1987 e fin ora si sono sempre rinnovati musicalmente parlando, licenziando quasi sempre album diversi fra di loro, saltellando di quà e di là tra generi diversi. Sono partiti dall'acid-rock degli esordi che strizzava l'occhio alle sonorità anni 60 ("Sonic Flower Groove", 1987), poi hanno cambiato strada rimanendo con ritmi rock mischiati però a quelli danzerecci e alla techno più incallita (l'osannato "Screamadelica", 1991) mischiando in un solo album tantissimi generi (trip-hop, dance-music, dub). Sono caduti nel baratro facendo il passo falso della carriera ("Give Out But Don't Give Up", 1994) risultando poco ispirati e senza voglia di far buona musica. Hanno pubblicato un best-seller della musica come il pluri-osannato "EXTERMINATOR" (o qualsivoglia XTRMNTR).

Ora nel 2006 era arrivato il momento di cambiare di nuovo. Il poliedrico Bob Gillespie doveva cambiare pelle ancora, come un serpente, come il serprente che scivola sulla spalla del ragazzino nella copertina dallo sfondo dorato di "Riot City Blues", nuovo capitolo della istrionica band scozzese. Stavolta i Primal Scream virano verso il rock puro con leggere influenze psichedeliche e non pochi sprazzi di blues (come tra l'altro suggerisce il titolo dell'album). Il primo singolo estratto è "Country Girl", un rock festoso e casinaro accompagnato da un video altrettanto carino cui a tutti consiglio la visione.

"Nitty Gritty" con un riff molto carino ma forse già sentito da qualche parte, "Suicide Sally & Johnny Guitar" che ha un altro potentissimo riff nel ritornello ed è ancora più scatenata delle precedenti. La vena psichedelica affiora in "Little death" dove possiamo accorgerci degli echi dei Pink Floyd nella parte iniziale della canzone "Careful with that axe, Eugene" nel "Live at Pompeii" ?), più di sei minuti di musica oscura, fortemente ispirata che precede un finale esplosivo. "The 99th Floor" è un country-blues casinaro di quattro minuti , lo stesso vale per "Boogie Disease" dove ci sembra di ascoltare i Rolling Stones di "Beggar's Banquet" o di "Let it bleed".
Segue poi la fine in "Sometimes I feel so lonely" un altro pezzo blues, ma blues nel vero senso della parola: una canzone triste e malinconica con tanto di armonica a bocca che da un degno finale a questo album che segue ad essere uno delle migliori uscite del 2006.

Insomma "Riot City Blues" non annoia mai ma rappresenta comunque una scelta di musica non molto originale, ben suonata ma già sentita. Ma come si dice: sempre meglio di certe altre stupidaggini che vengono pubblicate nella musica oggi giorno.

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