Quando si parla di Primo Levi, viene naturale associarlo allo scrittore-testimone di "Se questo è un uomo" e de "La tregua". Ma Primo Levi è anche molto, molto altro. E' un chimico con il meraviglioso dono di saper raccontare talmente tanto bene delle storie che riuscirebbe a rendermi interessante anche un gran premio di Formula 1, se lo vivessi filtrato attraverso le sue parole.
L'esempio più brillante di questa sua straordinaria capacità è "Il sistema periodico", un libro unico, che sfugge ad ogni classificazione, un libro in cui Primo Levi dimostra come il mestiere del chimico e il mestiere di vivere siano molto più simili di quanto si potesse immaginare, un libro per cui chi scrive, chimico come l'autore, nutre un amore spropositato e viscerale.
Non posso immaginare nessun altro in grado di scrivere questi ventuno racconti legati ad altrettanti elementi chimici e perlopiù autobiografici, riuscendo a trattare una materia notoriamente poco attraente per i "profani" come la chimica in maniera talmente delicata e spontanea da renderla fruibile ad una platea ben più vasta di quella con cui essa è solitamente abituata a confrontarsi.
Col suo stile asciutto e puntuale, Primo Levi racconta episodi della propria vita legati in qualche modo all'idrogeno, al potassio, al cromo o al cerio senza sprecare una singola parola, senza fare inutili esercizi di stile, condensando in poco più di 200 pagine un mondo di esperienze, disavventure, fallimenti, conquiste, rivincite, che accomunano quei due mestieri di cui sopra.
Ma la chimica non è l'unica protagonista, insieme ad essa ci sono le persone, c'è Sandro, l'amico taciturno di "Ferro", c'è Giulia, l'ambita e mai conquistata collega di "Fosforo", c'è Alberto, l'inseparabile amico dei tempi di Auschwitz di "Cerio", ci sono Rodmund e il capitano Abrahams, protagonisti dei due racconti di fantasia "Piombo" e "Mercurio", c'è il Dottor Muller, l'aguzzino riemerso dal passato di "Vanadio". E c'è naturalmente Primo Levi, che, nonostante il carattere fortemente autobiografico del libro, raramente si concede la ribalta, riuscendo a parlarci di sè avendo cura di essere innanzitutto discreto, senza porsi troppo al centro dell'attenzione.
E come se non bastasse, quando si è ormai giunti alla ventunesima ed ultima casella di questo speciale sistema periodico, ecco che si trova "Carbonio", il capolavoro definitivo cui spetta il compito di calare nel migliore dei modi il sipario: la storia di un atomo di carbonio, delle sue infinite trasformazioni, del suo viaggio, la cui conclusione coincide con quella del libro, diventa un inno innalzato alla potenza e alla perfezione della natura, in cui viene prepotentemente dischiusa tutta la poesia celata dietro un singolo, apparentemente insignificante, atomo.
Siamo chimici, cioè cacciatori: nostre sono «le due esperienze della vita adulta» di cui parlava Pavese, il successo e l’insuccesso, uccidere la balena bianca o sfasciare la nave; non ci si deve arrendere alla materia incomprensibile, non ci si deve sedere. Siamo qui per questo, per sbagliare e correggerci, per incassare colpi e renderli. Non ci si deve mai sentire disarmati: la natura è immensa e complessa, ma non è impermeabile all’intelligenza; devi girarle intorno, pungere, sondare, cercare il varco o fartelo. (Nichel)
Il mio libro preferito.
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