Ho iniziato a apprezzare gli irlandesi Primordial con "The Gathering Wilderness", lavoro del 2005 che li vedeva unire, in maniera più che sapiente, le diverse influenze che hanno caratterizzato la loro lunga esperienza. Ritmiche black, tematiche viking (anche se per loro sarebbe più giusto parlare "solo" di folk, nonostante questo genere gli sia stato spesso accostato anche in passato), tonalità epico/drammatiche e tanto altro ancora, tutto questo era facilmente riscontrabile in quell'album. Che, lo dico subito, considero uno dei capolavori del gruppo (se non IL capolavoro); logico che mi aspettassi da questo "To The Nameless Dead" del 2007 la stessa classe del predecessore. Beh, il disco mi ha coinvolto meno, ma non posso non constatare come la band guidata dall'istrionico Alan Nemtheanga abbia di nuovo fatto centro, seppur con qualche lieve aggiustamento nella struttura dei pezzi.
Di black rimangono solo sprazzi nel drumming e nel gelo sovente sprigionato dalle chitarre, e anche le influenze folk si "limitano" a certe intelaiature melodiche. Quella che emerge in maniera enorme è rabbia, rancore disperato e amarezza, sentimenti che scaturiscono dalle tematiche che ruotano attorno al lavoro. La componente sociale era presente anche in "The Gathering Wilderness" (in "The Coffin Ships", giusto per fare un esempio), ma è con "To The Nameless Dead" che assurge al ruolo di protagonista incontrastato del disco. Un platter interamente dedicato infatti all'insensatezza delle tante morti per guerre spesso inutili, delle genti cadute per difendere l'onore della loro patria, che per loro simboleggiava libertà, amore, famiglia, mentre per qualcun altro, nascosto nell'ombra a manovrarli come burattini, si trattava di un'ennesima partita a scacchi.
Non mi viene in mente alcun tipo di catalogazione per questo lavoro, forse perché nasce dall'unione di tanti generi: black, viking, folk, doom, e chi più ne ha più ne metta. Ma in fondo chi se ne frega, va ascoltato e basta. Anche solo la prima traccia, "Empire Falls", può essere assunta a titolo esemplificativo di quella verve furiosa che animerà poi anche tutte le successive canzoni. Una voce possente, che passa con disinvoltura da un clean teatrale a uno scream impressionante, un urlo glaciale, viscerale, raschiato e passionale, che trasporta l'ascoltatore come un vento impetuoso: non si può che cadere vittime e innamorarsi del modo di cantare di Nemtheanga.
Sul piano strumentale possiamo notare come si prediligano strutture cicliche, avvolgenti e a spirale (molto doom in questo senso), dal forte pathos e epicità. Le chitarre tessono infatti di continuo trame possenti, e siano esse rasoiate gelide di stampo black o rocciose e lente riescono sempre nell'intento di creare un'atmosfera solenne e a tratti sacrale. Sezione ritmica che, di par suo, accelera e decelera di continuo, passando da un drumming black a uno, nuovamente, doom, lento, cadenzato e annichilente.
Dovendo citare i pezzi più rilevanti mi trovo un po' in difficoltà. Il disco è infatti bilanciatissimo, non mostra il fianco a particolari critiche, probabilmente anche per il fatto che inizia e termina seguendo, caparbiamente, i propri canoni prestabiliti. Un po' se vogliamo come gli stessi Primordial, maestri nell'avanzare, incuranti e a testa bassa, lungo un ventennio musicale, mantenendo sempre chiare le loro intenzioni.
La tripletta iniziale è comunque da capogiro (con il mantrico break di "As Rome Burns" che suggella un climax imperioso e emotivamente intenso), ma non sono da meno anche la più folkeggiante "Heathen Tribes" e il finale, declamatorio, affidato a "No Nation On This Earth".
Forse leggermente prolisso, meno tendente alla drammaticità e all'autocommiserazione rispetto a "The Gathering Wilderness", più caratterizzato da un'orgogliosa protesta sociale, questo "To The Nameless Dead" si candida comunque tranquillamente a seguito ideale del già citato lavoro, sviluppandone certi aspetti che magari erano rimasti più in ombra, e risultando la sua ideale controparte. Resta in definitiva un disco molto intenso e affascinante, che sfiora di pochissimo il massimo dei voti, che spetta invece a mio avviso al suo predecessore, punto di arrivo ideale e summa di tutte le influenze del gruppo irlandese. In ogni caso, gran bel disco.
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