Tim Alexander se n'era andato.
Tim "Herb" Alexander, poliedrico batterista dei Primus, aveva abbandonato il gruppo proprio all'apice della sua popolarità, derivata al tempo dal singolo "Wynona's Big Brown Beaver" contenuto nell'album "Tales From The Punchbowl". I rimanenti Claypool e Larry "Ler" LaLonde, quindi, avevano una bella gatta da pelare: come sostituire Herb? Voci di corridoio si rincorrevano, parlavano di rimpiazzi come Mike Bordin dei Faith No More, ma alla fine la scelta ricadde su Bryan "Brain" Mantia, già batterista dei Praxis (gruppo che ebbe tra le sue fila anche Buckethead, il tastierista Bernie Worrell e lo stesso Claypool, i quali andranno poi a formare con lo stesso Mantia i Colonel Claypool's Bucket of Bernie Brains).
La preoccupazione dei fans era che con il cambio di batterista le dinamiche di gruppo sarebbero potute cambiare radicalmente; da un batterista più tecnico e potente come Alexander si era passato ad uno più orientato verso il groove come Mantia: ciò avrebbe forse influenzato anche la musica di Claypool e LaLonde? Questo "Brown Album" ci fornisce la risposta.
Il tragicomico comizio elettorale di "The Return of Sathington Willoughby" (personaggio già comparso nel disco d'esordio "Frizzle Fry") sembra fatto apposta per confondere l'ascoltatore: dietro alle sferzate della chitarra di Ler, dietro all'incessante procedere della batteria di Mantia, dietro ai potenti slap di Claypool, si sente che qualcosa è diverso. I ritmi più funky dei precedenti dischi hanno lasciato la scena ad atmosfere per lo più dure e rocciose, sardonicamente cupe; così anche la voce di Claypool, che fino ad allora era stata portata nella maggior parte dei pezzi al limite del ridicolo e del cartoonesco, in questo album marrone si abbassa di tono, diventa quasi un tutt'uno con il suono prodotto dagli strumenti: una sarcastica litania è quella che permea le tracce di questo disco.
Da pezzi ossessivi come "Shake Hands With Beef" e "Camelback Cinema", per arrivare a canzoni meravigliosamente sopra le righe come "Over The Falls", si può sentire come i Primus riescano a mutare completamente registro, a chiudere quasi totalmente con i suoni usati in passato, e nonostante questo rimanere sè stessi al 100%. Sembrano lontani i tempi di "My Name Is Mud" e di "Wynona's Big Brown Beaver", ma loro sono ancora lì, i Primus. Talmente diversi dal passato, ma allo stesso tempo i soliti fantastici buffoni che con le loro storie orribilmente ridicole e i loro personaggi macchietta vivono nel loro universo di plastilina, così piccolo e diverso dal nostro, ma allo stesso tempo così vicino e paurosamente tangibile.
"Remember this day", termina in questo modo la traccia che chiude il disco, "Arnie"; forse Claypool, LaLonde e Mantia hanno voluto darci un avvertimento. Volevano dirci di ricordare il giorno in cui ci avevano parlato di quell'universo che consideravamo solo un qualcosa di distante, semplicemente buffonesco, quella che noi pensavamo fosse una farsa: bene, meglio toglierselo dalla testa.
Quel mondo della farsa raccontatoci dai Primus, di politici che predicato tutto ed il contrario di tutto per ingraziarsi gli elettori, quel mondo di cantanti che si danno fuoco di fronte al pubblico, quel mondo di ragazzi dorati che sparano alla gente senza rimorsi, quel mondo esiste.
Ed è la fuori.
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