Anche i migliori sbagliano. È uno stereotipo abusato e banale, ma purtroppo spesso corrisponde alla verità. I migliori, quelli che apparentemente non sbagliano un colpo, talvolta non centrano il bersaglio. E non c'è da farne una colpa a nessuno, in fondo si tratta pur sempre di esseri umani, sebbene benedetti dal fuoco sacro dell'Arte.
Non fa nessuna differenza, dunque, se si parla dei Primus, storica band portabandiera del rock demenziale degli anni '90, pressoché massima erede dell'estetica surreale e schizoide del padre di tutti i freak, Frank Zappa. Eh già, perché dopo album ormai divenuti dei classici come "Frizzle Fry", "Sailing The Seas Of Cheese" e "Pork Soda", è normale che un gruppo senta sulle proprie spalle il peso di una certa stanchezza creativa. Non per dire che "Brown Album" sia un album insulso o completamente privo di valore, ma ormai la band comincia ad assomigliare ad una catena di montaggio, con testi alla Primus, riff alla Primus e canto alla Primus. Brani come "The Return Of Sathington Willoughby", sorta di comizio pseudorepubblicano messo in musica con tanto di ritmo pellerossa, slap martellanti di basso e squittii atonali di chitarra, e "Shake Hands With Beef", funk rock sincopato e marziale dominato da un ritornello grottesco e dalla recitazione sottotono di Claypool mettono in mostra da subito la classe della band ma offrono davvero poco se confrontati con episodi illustri del loro passato come "Jerry Was A Race Car Driver" e "My Name Is Mud". "Camelback Cinema" è a due passi dal thrash-metal ma non fa altro che annoiare con la sua struttura ripetitiva e ossessiva, mentre "Bob's Party Time Lounge" si lancia in uno sfrenato funk-metal divertente ma nulla più. "Coddingtown" è un'altra prova dell'avvenuto assorbimento di sonorità ancora più dure rispetto al passato, con la sua carica speed-metal a duecento all'ora condita da un ritornello surreale.
Altrove, la band aggiunge spunti reggae e ska alla propria consolidata miscela, specialmente in "Duchess And The Proverbial Mindspread", mentre "Restin' Bones" e la conclusiva "Arnie" (con la sua cadenza funky, il tremolio cupo della chitarra e il recitare quasi beat di Claypool) riportano ai climi minacciosi e plumbei di "Pork Soda". Tutto ciò, per quanto possano essere suggestivi e divertenti alcuni episodi, è rovinato da una produzione grezza e poco adatta a mio avviso al sound del gruppo, mentre spesso la band non fa altro che riproporre le sonorità che l'hanno resa famosa.
Anche i migliori sbagliano. E mi dispiace dirlo ma temo che con quest'album i Primus abbiano proprio toppato. Coinvolge poco, diverte a metà, annoia fin troppo. Non ho ascoltato "Antipop" ma da quanto ho sentito e letto sembra che sia ben lungi da una rinascita... per cui mi chiedo: sono davvero arrivati alla frutta? Spero che sappiano smentirmi.
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