Difficile separare il nome dei Procol Harum dalla canzone che li ha resi popolari nel mondo nel lontano 1967, ossia "A Whiter Shade of Pale"... quel giro di organo Hammond di Gary Brooker , ispirato a Bach, è stato uno dei simboli sonori degli anni 60, e non solo, dato che il 45 giri del pezzo fu protagonista di clamorosi rientri nelle classifiche mondiali più volte negli anni successivi, al punto da infrangere la barriera dei 10 milioni di copie vendute.

In Italia, la band fu oggetto di attenzioni particolari da parte degli artisti nostrani, visto che sia i Dik Dik ("Senza luce") che i Camaleonti ("L'ora dell'amore", ossia "Homburg") , spopolarono con rifacimenti dei loro pezzi. Ma i Procol Harum, sebbene associati ineluttabilmente a quel classico, furono capaci di produrre altra buona musica, e nel 1969 fecero uscire il loro terzo lavoro, ossia questo "A Salty Dog" , che nel nostro paese ebbe comunque una eco particolare, e chi ha la mia età o qualcosa di più forse si ricorda in quale contesto.

Per chi non è intorno agli "anta" come il sottoscritto, chiarisco che a metà degli anni 70 esisteva in Rai un programma seguitissimo dai giovanissimi di allora, che si chiamava "Avventura", ed era una trasmissione dedicata ai documentari sulla natura o su particolari imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti. La sigla di apertura era cantata da Joe Cocker, una cover di "She came across the bathroom window" dei Beatles, e la sigla di chiusura era proprio "A Salty Dog" dei Procol Harum. Chi si ricorda di tutto questo, forse, come me ancora associa le prime note di archi e pianoforte del pezzo (con il rumore del mare e i versi dei gabbiani) al tramonto sul mare (in bianco e nero, purtroppo, ma bastava sognare i colori...) della sigla, e forse, come me, si emoziona come allora...

"A Salty Dog" è una delle melodie più straordinarie della storia del rock, senz'altro al livello dei più grandi classici dei Beatles, nella quale tutto suona meravigliosamente...... dalla voce di Gary Brooker, delicata e potente nello stesso tempo, al sottofondo degli archi orchestrali, alla scelta delle pause e dei crescendo. Il testo riguarda la storia di tragedia e di speranza di un gruppo di sopravvissuti ad un naufragio, tema ricorrente nella discografia della band, se si pensa a "The wreck of the Hesperus" presente in questo stesso disco, e in "Whaling Stories" dal precedente "Shine on brightly". Di fronte ad un tale classico, il resto dell'album a che livello si colloca? A mio avviso si tratta di un livello più che buono; i restanti brani vanno ascoltati e valutati in sé, altrimenti il paragone potrebbe ingiustamente deprezzarli. In particolar modo trovo eccellente la triade finale del lato B (ho ancora il disco in vinile...), formata dalla ballata pianistica "All this and more", dal blues caldo ed intenso di "Crucifixion Lane", e da "Pilgrims Progress", quest'ultima con qualche similitudine con "A Whiter shade of Pale", soprattutto nell'uso dell'organo in sottofondo, e comunque assolutamente non ripetitiva rispetto al suddetto classico. Vanno segnalati con piacere anche due episodi a base di chitarra acustica: la delicata e raffinatissima "Too much between us", che forse potrebbe interessare ai fans di Nick Drake, e "Boredom", che, a dispetto del titolo non è affatto noiosa, anzi, il flauto e le percussioni le conferiscono una frizzante atmosfera da festa hippie....

I Procol Harum poi tirano fuori gli artigli (a modo loro, beninteso...) in "The Devil came from Kansas", il brano più assimilabile al rock duro, e si reimmergono nel clima tragico delle (dis)avventure marine in "The wreck of the Hesperus", mentre "Jiucy John Pink" è un blues molto "standard", con Robin Trower protagonista. "The milk of human kindness" è invece il brano meno memorabile del disco.

Un'ultima nota sullo stile dei Procol Harum; secondo me, aldilà delle ovvie influenze, rintracciabili nella musica classica e nel blues soprattutto, questo gruppo aveva un suono molto originale (attenzione ho detto originale, non rivoluzionario), e non facilmente etichettabile. Un altro punto a loro favore. Peccato che però nei (pochi) lavori successivi ci sia stato un prematuro declino. Per la cronaca la band si è riformata nei primi anni 90, ma non è stata capace di suscitare clamori particolari intorno a sé.

Comunque, pur non essendo un capolavoro (tranne la title-track che invece lo è, eccome!) , "A Salty Dog" va riascoltato o scoperto, perché merita.

Voti: "A Salty Dog" - canzone: 6 ; resto del disco: 4

Riporto inoltre il testo della canzone "A Salty Dog"

"all hands on deck, we've run afloat! I heard the captain cry
explore the ship, replace the cook: let no one leave alive!
Across the straits, around the horn: how far can sailors fly?
A twisted path, our tortured course, and no one left alive

We sailed for parts unknown to man, where ships come home to die
No lofty peak, nor fortress bold, could match our captains eye
Upon the seventh seasick day we made our port of call
A sand so white, and sea so blue, no mortal place at all

We fired the gun, and burnt the mast, and rowed from ship to shore
The captain cried, we sailors wept: our tears were tears of joy
Now many moons and many junes have passed since we made land
A salty dog, this seamans log: your witness my own hand
"

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