La frase TIME WAITS FOR NO ONE assume un significato tristemente spietato allorquando viene associata alla carriera di un musicista o di un gruppo rock, di cui si ricordano infuocate esibizioni dal vivo e perfino i classici playback alla Top of The Pops possono ancora risultare entusiasmanti e pienamente giustificati dal vigore giovanile. Da diversi anni trovo molto faticoso affrontare la vista degli ennesimi sopravvissuti che continuano a calcare le scene, personaggi ormai alle porte dei 70 anni, a volte francamente imbarazzanti nella loro babbionaggine e quasi sempre dalle ugole irrimediabilmente consumate.

Eppure, a smentire tutto questo, ormai diverso tempo fa non ho resistito alla tentazione di trascinare il mio amico storico al Teatro Smeraldo per i PROCOL HARUM, se non altro per vedere in azione i due elementi storici dei tasti d'avorio, GARY BROOKER E MATTHEW FISHER. Che fosse un meeting di bianche capigliature non avevo dubbi, in prima fila davanti a me c'erano quelle di Mussida e Di Cioccio, e anche la testolona lucida di Ruggeri, ma dalle prime note sono scomparse dalla mia vista facendo posto a quel caratteristico e nobile sound, e a quella voce meravigliosa, quell'impostazione maschile e sottilmente british...mai una nota fuori posto, magistrale perfino nel ricordare i riff degli ottoni di GRAND HOTEL, in mancanza dei fiati veri, e riceverne un'ovazione.

Il vinile di "GRAND HOTEL" entrò nella mia casa nel 1973, all'uscita, aprendone ogni volta il gatefold è come aprire il portagioie d'argento della nonna, i vari monili posizionati con cura a formare un'unica identità con l'involucro, e sfilandone il booklet elegantemente illustrato ci si immerge nella lettura dei testi, i particolari grafici aiutano a immedesimarsi nelle storie che il paroliere KEITH REID sciorina a mo' di quadri situazionistici: accurate descrizioni, disperati appelli e scampoli di luoghi comuni costituiscono l'ossatura di un'opera che non conosce cedimenti, e che sfila via con la pretesa di avere tutte le carte in regola per affezionarsi all'ascoltatore... e ci riesce senz'ombra di dubbio!

Sottili note pianistiche srotolano il tappeto del GRAND HOTEL: la line up è in copertina, i sigari accesi, in attesa che si aprano le danze dopo una cena succulenta, la descrizione delle varie portate, le occhiate furtive, le prenotazioni per il primo ballo, le debuttanti a contendersi i maschi piu' affascinanti... infine una danza incessante scandita dal metronomo, il Big Ben e le steppe russe, cori polifonici, Wagner e Borodin a muovere un ingranaggio scevro da schricchiolii grazie a un'opportuna lubrificata. Fuori dalla fastosa hall si raccontano pero' ben altre storie: nella quasi hard TOUJOURS L'AMOUR gli accadimenti sono accostabili a news odierne dense di fallimenti, corruzioni e vite sregolate, dove solo l'acquisto di un revolver da puntare alla tempia puo' metter fine allo scempio. Piu' romantico e' il trascinamento alcoolico di A RUM TALE, nell'evocazione della soffice nuvoletta dove adagiarsi definitivamente, con il divino consenso. A SOUVENIR OF LONDON e' un piccolo colpo di teatro che non fa rimpiangere il RAY DAVIES dei tempi migliori, perfetto per uno show di tip tap a Covent Garden. Altrove la band si muove bene negli equilibrismi sonori tra partiture classiche e sferzate rock: la splendida e malinconica FOR LIQUORICE JOHN puo' esser stata d'aiuto a NEIL HANNON nel crearsi il suo stile, con i DIVINE COMEDY e da solo. Con ripetuti ascolti viene a galla il grande valore del gruppo e del songwriting dell'inossidabile coppia Brooker-Reid, capaci di competere coi Pink Floyd nel comporre un pezzo come FIRES (WHICH BURNT BRIGHTLY), comprendente l'ospitata della soprano francese CHRISTIANNE LEGRAND, in un gorgeggio che si stampa indelebilmente in testa...e son quasi 40 anni!

La produzione del grande CHRIS THOMAS, in quei mesi impegnato in contemporanea coi ROXY MUSIC, l'utilizzo di un grande apparato classico e una cura maniacale dei dettagli fanno di questo disco il secondo e ultimo capolavoro del gruppo, dopo "SHINE ON BRIGHTLY" di 5 anni prima, e consacra definitivamente la band, se mai ce ne fosse stato bisogno. E' un'opera ingiustamente trascurata, e che ritengo degnissima di un posto ben visibile in mezzo ai soliti titoli che anche qui vengono recensiti al ritmo di una coltivazione di champignon.

IT'S SERENADE AND SARABANDE.... THE NIGHTS WE STAY AT HOTEL GRANDE! 

 

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