Sarà la voce malinconica di Gary Brooker, sarà l'Hammond di Matthew Fisher, sarà quell'atmosfera romantica che trasuda da ogni sua nota, ma quando si è di fronte ad un disco come "Shine On Brightly" non si può far altro che concordare sull'importanza che esso abbia avuto per la musica degli anni a venire.
Un opera raffinata ed elegante, che si staglia tra i primissimi album del progressive, allora ancora nel grembo dei gruppi che lo stavano partorendo, tra cui i Procol Harum.
Il disco in questione uscì nel 1968, un anno dopo il successo planetario di "A Whiter Shade Of Pale" e l'uscita del primo lp. Si tratta di un opera matura, ricca di barocchismi e di continui richiami alla musica classica; insieme al precedente, i capostipiti del rock barocco o sinfonico, chiamatelo come volete.
Eh naturalmente un album per essere definito grande deve essere suonato da un grande gruppo (un po' come la pubblicità del pennello Cinghiale...) o quantomeno in forma, e i Procol Harum lo erano tutti e due. Qui nessuna delle componenti della band stona nel complesso, anzi vi sono delle caratteristiche che si esaltano e insieme esaltano la musica stessa. Per esempio la voce calda e squillante di Gary Brooker, l'organo hammond di Matthew Fisher, marchio di fabbrica del loro sound, la chitarra blues di Robin Trower, insieme ad una sezione ritmica curata e di tutto rispetto con alla batteria Barry Wilson ed al basso David Knights. Il gruppo vedeva tra le proprie file anche un paroliere, Keith Reid. Un'altro importante fattore che rende unico il suono di questa band è il fatto che oltre ad un organo, vi sia anche la presenza costante di un piano, suonato dal cantante, che spesso cammina sulla base perfettamente disegnata dalle mani di Fisher.
Ma veniamo al disco, composto da 7 tracce tra cui una suite di 17 minuti, una delle prime della storia del rock. Si comincia con "Quite Rightly So", breve ma intensa. Cantato straordinario e una linea di organo saltellante che subito dopo averla ascoltata ci fa venire voglia di cominciare a fischiettarla. Bellissima anche la title track (che il gruppo canterà anche in italiano con titolo "Il Tuo Diamante"), con piano e chitarra che creano un perfetto amalgama. Nel mezzo da ricordare un assolo di organo di pregevole fattura. Insieme al pezzo precedente due canzoni che evidenziano in maniera paradigmatica lo stile della band, capace di emozionare e dotato di sentimento.
Segue "Skip Softly (My Moonbeams)", traccia dalle ambientazioni musicali differenti, più strampalate e dure grazie anche ad un assolo di chitarra che ci accompagna alla digressione finale. "Wish Me Well" è invece un pezzo per piano su cui Robin Trower disegna guizzi continui, che può ricordare i Rolling Stones. "Rambling On" ci riporta sullo stile che più ha rappresentato il gruppo, con un tappeto di piano leggermente malinconico e la chitarra calda e pastosa sempre presente a scandirne il ritmo. Nel finale cambiamento di registro all' insegna della spensieratezza in un tripudio di suoni. Altro ottimo pezzo, magnificamente interpretato da Gary Brooker, punta di diamante del gruppo. "Magdalene (My Regal Zonophone)", penultima traccia, è anch' essa ottima così come qualsiasi momento preso dal disco, dove nel finale possiamo notare una specie di fanfara che ripropone il tema tracciato precedentemente.
Chiude l'album la suite "In Held Twas In I", composta da 5 movimenti:
- Glimpses of Nirvana: intro della canzone che ci porta su lidi musicali paradisiaci, grazie al piano struggente che si fonde al sitar, che rappresenta al meglio le atmosfere soavi e placide del pezzo, segnato da un cantato appena accennato e sussurrato, che sembra quasi poesia.
- Twas Teatime At The Circus: sezione molto breve, che vede un cambio deciso della musicalità verso temi più spensierati e circensi, prima di essere interrotta da un esplosione che lascia spazio a
- In The Autumn Of My Madness: altro capolavoro di drammaticità, con ottime parti di Hammond che ricamano il crescendo che ci porta ad una sottosezione più "avanguardista", carica di psichedelia, precursore di molto progressive, che senza accorgercene ci fa entrare con dolcezza in
- Look To Your Soul: che riassume i canoni della musica del gruppo con la solita tensione ed epicità.
- Grand Finale: chiude la suite con una sezione completamente strumentale, accompagnata verso la fine solo da dei cori, quasi ecclesiastici. Pregevole anche l'assolo di chitarra che si innalza sulla canzone e ne decreta il finale. Titolo sicuramente azzeccato per l'ultima parte della suite.
Termina quindi il disco, raffinato, malinconico, capolavoro assoluto degli anni '60, che lascia intravedere la musica che sarà ripresa nel decennio seguente da svariati gruppi. Fondamentale.
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