Correva l'anno 2005 quando a Whitby, Ontario 5 ragazzi canadesi diedero alle stampe quello che sarebbe diventato un punto fermo nella loro discografia, uno spartiacque fra ciò che venne prima e ciò che sarebbe arrivato poi, e quel punto fermo prende il nome di Kezia.
Il disco è niente di meno che la progressione naturale del percorso musicale intrapreso dai giovani ragazzi, il quale combinava sapientemente la componente melodic HC riconducibile a bands quali Propaghandi e Thrice ( già abbondantemente presente nell'EP "A Calculated Use Of Sound") al prog metal di Sikth e Between The Buried And Me, una miscela che si sarebbe rivelata funzionante negli anni a venire.
E' necessario sottolineare come il disco rappresenti un concept album, la cui trama verte sulla condanna a morte di una giovane ragazza che prende il nome di Kezia, le 10 tracce che lo compongono sono a loro volta suddivise in 3 atti, in ognuno di essi avremo modo di vedere la vicenda narrata da 3 punti di vista differenti, corrispondenti al cappellano della prigione, alla guardia carceraria e Kezia stessa, mentre la decima traccia rappresenta una retrospettiva morale da parte della band stessa.
ATTO I: CAPPELLANO DELLA PRIGIONE
L'apertura del disco è affidata a "No Stars Over Betlehem" che, con un'unica nota di piano leggiadra, e con un lento e progressivo crescendo prepara l'ascoltatore a ciò che sta per arrivare.
Ciò che gli si presenta è la trasposizione in musica del chaos incontrollato, il duo di chitarre composto da Luke Hoskin e Tim Millar sfoggia nel primo minuto di opener la pesantezza e compattezza dei riff portanti conditi da passaggi funambolici e da stops and go, mentre il tutto è sorretto dalla solidissima sezione ritmica affidata a Moe Carlson (batteria) e Arif Mirabdolbaghi (basso).
Dopo i primi secondi il chaos informe inizia trovare una propria definizione che coincide con l'inizio del cantato ad opera di Rody Walker, il quale è in grado di dimostrare sapientemente tutte le sue qualità di vocalist, passando più volte da un registro altro ad un imprevedibile falsetto, e, in sporadiche occasioni, allo screaming.
Per quanto riguarda la struttura, il pezzo si mostra assai distante dai canoni tradizionali di canzone, di conseguenza si ha la totale assenza di ritornelli, così come di strofe dalla lunghezza metrica regolare.
Dal punto di vista lirico si ha una completa eviscerazione del "background psicologico" del cappellano il quale descrive la vita all'interno di una società nella quale Dio è morto (metaforicamente) per mano degli uomini stessi.
Senza nemmeno un attimo di tregua l'assalto dei canadesi continua incessantemente con "Heretics And Killers", pezzo che presenta sicuramente un quantitativo maggiore di stops and go, pause, e, soprattutto cambi riff rispetto al precedente.
La perfomance vocale di Walker si presenta assai eclettica, ed alquanto melodica grazie all'ausilio di armonie vocali contestualizzate alla perfezione.
Dal lato lirico vediamo la figura del cappellano approfondita sotto un aspetto morale, umano e psicologico, un cappellano il quale, dinnanzi al presentarsi delle prime intemperie (relative alla condanna di Kezia) vede il tempio basato sulla proprie credenze crollare a pezzi, il che lo porterà a sviluppare dei dubbi nei confronti della sue fede.
Il tutto ci porta al pezzo successivo "Divinity Within", terza traccia che si presenta in maniera irruenta nei confronti dell'ascoltatore; l'apertura è affidata a Luke Hoskin che si cimenta in una serie di passaggi funambolici, ad egli si unirà poi Millar dimostrando la perfetta intesa del duo in grado di compiere armonizzazioni in grado di far guadagnare prestigio al brano stesso, la cui struttura si mostra sempre scomposta e totalmente distante da qualsivoglia tipo di convenzione "standard".
Il pezzo, d’altro canto, conta di un incredibile lavoro composto da pause e ripartenze, e che rappresenta l'ultimo tassello del primo atto, nel quale la psicologia del cappellano viene approfondita appieno, mostrando quanto egli nutra una paura profonda d’innanzi all’idea che tutte le sue incertezze possano emergere per via di Kezia stessa.
La leggiadra voce di Rody funge da chiusura nel recitare un ultimo verso "What will you say Kezia? What are you final words?", ed infine, come a sancire la fine dell'atto, si presenta una breve ma intensa composizione di pianoforte affidata ad Hoskin stesso, il quale è in grado di dipingere un intermezzo perfetto per il secondo atto.
ATTO II: LA GUARDIA CARCERARIA
Proprio come accadde con l’opener, ci ritroviamo nuovamente d’innanzi ad un’apertura di in fade in, ma stavolta si parla di "Bury The Hatchet", traccia sicuramente più diretta ed aggressiva che intende porsi nei confronti dell’ascoltatore come un pugno alla bocca dello stomaco.
4 minuti alternati da riff veloci, cambi tempo, e una prestazione vocale che passa da un aggressivo screaming ad una seziona più melodica accompagnata da growl di backup; occorre inoltre sottolineare la prova di Arif alle 4 corde, il quale riesce a porsi in primo piano grazie ad una prestazione impeccabile, la quale vedrà la sua sublimazione nel breakdown finale.
Senza nemmeno un secondo di pausa ci si ritrova catapultati all’interno di "Nautical", traccia che presenta un riff dai connotati più “punk” condito dai costanti cambi tempo, nonostante ciò il pezzo si mantiene su un quantitativo di bpm costante.
Dal punto di vista musicale è probabilmente uno dei pochi pezzi più “straight forward”, seppur non sacrificando del tutto l’aspetto tecnico.
Sotto l’aspetto lirico entrambe le tracce forniscono un quadro completo sia dal punto divista psicologico, che sociale del secondo personaggio di quest’opera.
In “Bury The Hatchet” la guardia carceraria viene dipinta come un individuo sadico e senza pietà, in grado di impartire qualsiasi sentenza ai condannati a morte senza essere in grado di empatizzare con loro, una situazione dovuta principalmente al suo ruolo, che non permette di far trasparire alcuna emozione.
In "Nautical" invece questa figura viene maggiormente approfondita (proprio come accadeva per il cappellano in "Heretics And Killers"), inoltre nel testo sono presenti riferimenti al presunto crimine commesso da Kezia nel verso:
“Which turned out to be the closest thing to a fashion trend
That's ever been bulletproof
Which turned out to be the closest thing to a fashion trend
That's ever been put on trial”
Il quale lascia sicuramente un ampio spazio all’ascoltatore nell’interpretazione delle liriche stesse, mentre da un punto di vista psicologico, la guardia carceraria inizia ad avere dei ripensamenti riguardo l’esecuzione della giovane donna, dimostrando ancora una volta come i timori più insiti nella indole dei personaggi emergano in situazioni di maggiore criticità.
Questi timori avranno modo di emergere sotto forma di dubbio, rimorso e analisi dei propri principi morali in "Blindfolds Aside", il pezzo che costituisce l’anthem del disco, e soprattutto, primo singolo estratto dallo stesso e punto fermo nella scaletta live della band.
L’apertura è affidata e dei riff fulminei che poi lasciano spazio ad un incedere dal retrogusto HC da parte di Hoskin, al quale successivamente si aggiungerà tutta la band, si unirà in seguito Walker con una prova vocale incredibile, in grado di permettere all’ascoltatore di immedesimarsi nel drammatico contesto della guardia carceraria.
La traccia è una delle migliori composizioni del disco, e come di consueto, essa è sostenuta da numerosi riffs, intervallati persino da un brevissimo break acustico.
La perfomance della band è incredibile, ogni membro riesce a dimostrare le proprie qualità, in particolar modo Moe Carlson mette in risalto le sue doti dietro il drumkit in una delle sue migliori prestazioni, inoltre il pezzo presenta alcuni elementi che lo differenziano dalle tracce precedenti, come la presenza di un assolo sempre ad opera di Hoskin.
Altro elemento da sottolineare è lo stop a metà della traccia nel quale il duo di chitarre ha modo di sfoggiare una sublime armonizzazione che fa da preludio ad un momento quasi solista di Walker accompagnato dal solo basso in tapping di Arif .
La tensione si fa alta grazie al giovane vocalist che recita il verso:
“Five soldiers forever sedated with the,"No one's responsible" psychological drama of our social justice dribble”.
Una tensione che crescerà fino a portare il pezzo verso l’agognato finale accompagnato da dei battiti di mani che fungono da preludio per il la drammatica chiusura del brano.
Liricamente abbiamo modo di osservare un drastico cambiamento da parte della guardia carceraria, la quale, in seguito all’ordine di compiere l’esecuzione inizia a vacillare, specialmente d’innanzi ai propri principi morali, una guardia carceraria che si ritiene bendata, e la vita di Kezia dipenderà solo dalla propria decisione, togliersi la benda che ostruisce la propria vista, o fare fuoco sulla vittima?
Una outro acustica dolcemente accompagnata dalla soave voce della guest vocalist Jadea Kelly (ad interpretare vocalmente i panni di Kezia) e sostenuta (un’ottava più in basso) dalla voce di Walker stesso, essa fungerà da preambolo a quello che sarà il terzo ed ultimo atto.
ATTO III: KEZIA
Un unico pickscrap ci introduce alla sesta traccia "She Who Mars The Skin Of Gods", la quale, sulla falsa riga della precedente non intende mostrare alcun accenno di rallentamenti, anzi, essa si districa nel suo rapido incedere di tempi dispari conditi da un’ottima prova del duo chitarristico che si dimostra ancora una volta in forma.
Inoltre, sempre sul finale, abbiamo nuovamente una comparsa della giovane Jadea Kelly ad affiancare la prestazione vocale di Walker.
Il pezzo ci introduce alla figura di Kezia, seminando ancora una volta indizi su quale possa essere stato il crimine commesso dalla giovane donna, la stessa ragazza che, nelle liriche si dimostra influenzata dall’ideologia materna improntata su quelli che rappresentano i canoni dell’attuale “femminismo”, una figura materna forte e decisa che fungerà da ispirazione da Kezia stessa, e che sarà il suo conforto durante la notte antecedente alla sua esecuzione.
La settima traccia “Turn Soonest To The Sea” apre le danze in maniera irruenta, dimostrando il tasso maggiore di tecnicismo presente nelle composizioni della band, di fatto il pezzo regge sulle funamboliche gesta di Hoskin e Millar che si dimostrano sempre molto abili nel tessere trame chitarristiche complesse.
La sezione ritmica, d’altro canto, non è da meno, dimostrandosi sempre funzionale, inoltre Arif ha modo di dimostrare quanto il suo basso possa essere influente nel sound generale, specialmente se accompagnato dalla batteria di Moe Carlson, la quale ruota attorno a numerosi cambi tempo durante i 6 minuti di durata della composizione.
La prestazione di Walker è fra le più melodiche del disco stesso, accostabile maggiormente ad una prova vocale dal retrogusto “core”, genere che irrompeva impetuosamente nel mercato musicale del tempo, e del quale la band ha subito (anche se in minima parte) l’influenza.
A sostenere questa tesi è il breakdown posizionato a metà della traccia, il quale fungerà da spartiacque pronto a condurci alla conclusione, affidata in primis ad una strofa quasi sussurrata,e che esploderà nei secondi successivi nel melodicissimo coro finale dal retrogusto altrettanto “core”:
“Maybe someday when when this bloody skull has dried I'll know our city is in ruins when the greatest source of pride is a monument of dicks and ribs and gender crowns we wore
Where underneath, a plaque will read,
A plaque will read: "No woman is a whore"
A testimonianza dell’ideologia rappresentata ed appartenente a Kezia stessa, e da Arif Mirabdolbaghi, incredibile autore di tutti i testi, e che si fanno carico di numerose considerazioni nutrite dallo stesso nei confronti dell’odierna società.
“Ready, Aim”.
Queste parole ci introducono senza un secondo di respiro alla nona traccia “The Divine Suicide Of K”, aperta da un riff composto da un intreccio di scale minori e maggiori, il quale funge da apertura perfetta per i vocals di Rody Walker, carichi come mai prima d’ora di una drammaticità adatta a rappresentare l’esasperata situazione
“I Better think of my answers now because I know the questions will be asked”.
Kezia inizia il confronto con se stessa, un confronto adornato dalla complessa trama del pezzo stesso, il quale vede le parti di chitarra funamboliche al centro della composizione, le stesse chitarre che sfoggeranno, in seguito ad un break di batteria, un breve solo in tapping armonizzato, sempre in grado di servire perfettamente la canzone e caricarla di drammaticità e pathos.
“It's true that tactless teem totem-poles turn tolerance into tired taboos
It's true that a bullet never knocks at the door, it's about to come crashing through”
Lo sviluppo del pezzo è liricamente affidato ad un velato riferimento al saggio “Totem e Taboo” di Freud, mentre Kezia giunge alle conclusioni riguardo la propria morte, e non solo, ella si abbandona ad una riflessione riguardo gli altri 2 protagonisti della vicenda nel verso:
“I’m walking one last mile in big steps as your alter-wine
I’m doing it in tattered shoes that aren't even mine
Because my own are in a box locked up with possessions I can't have
Like the gunman with his future and the prison priest's golden calf”
Ogni passo verso il patibolo viene enfatizzato, mentre la figura del cappellano viene eviscerata e messa alla pari con quella della guardia carceraria, due personaggi apparentemente diversi, ma accomunati dal drastico cambiamento subito in seguito al coinvolgimento nella vicenda.
“Blindfolds aside I'd probably still close my eyes”
Pesanti parole accompagnano gli ultimi attimi della giovane donna, che tramite la voce di Walker prima, e poi in un ultimo drammatico congedo, ed accompagnata da rintocchi di campane e dal flebile suono di una chitarra acustica dalla voce di Jadea Kelly per un’ultima volta recita:
"Resurrected to be killed and maybe born again
I'll always be Kezia as long as any hope remains"
Quasi ad indicare come la propria morale ed i propri ideali non andranno persi con la propria morte, ma bensì rimarranno presenti nelle menti (e nei cuori) delle persone che credono in ciò, la morte non è tale finchè non si viene dimenticati del tutto, ed è questa la speranza di Kezia, ella non morirà fintanto che ci sarà fede nei confronti dei suoi ideali dei quali si è autoproclamata martire.
I rintocchi presenti si fanno sempre più veloci, ricoprendo il ruolo di metronomo in supporto al riff atonale in apertura del decimo pezzo “A Plateful Of Our Dead”, esso si mantiene su ritmi più sostenuti durante i primi 30 secondi di apertura, fino allo stop sancito da un passaggio rapido e alla conseguente ripartenza con aumento di bpm volto ad aggiungere maggiore dinamicità.
La traccia rappresenta una retrospettiva morale della band relativa alla vicenda, e che si mostra (in parte) introspettiva sul piano lirico:
“Don't ever ask us to define our morals
Sometimes when fundamentals meet teenage heartbreak
Some of us are all of us; half-selves that love whole hopes
And hara-kiri heartbreak”
Il primo elemento preso in considerazione sono i principi morali, caposaldo delle liriche della giovane band di Whitby, morali che spesso vengono scosse da avvenimenti esterni che li smuovono dalle fondamenta.
Il tutto procede su velocità sostenute dal combo, che presenta un assetto di riff sempre solido e ben contestualizzato che porteranno di seguito ad un breakdown ad effetto "intercalare", inteso nel senso meno convenzionale del termine.
La ripresa è affidata al basso e alla batteria che fungono da solida base per le chitarre, nel mentre che Rody recita uno dei migliori passaggi della traccia:
“There's merit in construction when it's done with your own hands
There's beauty in destruction, resurrection, another chance
There's a you and I in union but just an I in my beliefs
There's a crashing plane with a banner that reads everyone's naive”
Dopodiché si giunge ad una pausa e ad una ripartenza affidata nuovamente alla sezione ritmica, dove Arif ha modo di dimostrare appieno le proprie qualità e abilità allo strumento in un passaggio suonato totalmente in tapping e sostenuto dalla batteria.
Essa condurrà l’ascoltatore verso la conclusione, in un ultimo verso nel quale viene rappresentata perfettamente l’etica del disco, legata all’esecuzione di Kezia, e riconducibile persino all’artwork:
“I'd rather kill a stupid flower and spread its seeds
Until a garden with our bullet-laden morals will be found”
Un ultimo e malinconico commiato affidato ad una chitarra acustica ci accompagna al lento e sfumato finale dell’opera.
Non di certo fra le più facilmente assimilabili, e che richiederà più ascolti per entrare completamente nella sua ottica, sia musicale che lirica, ma una volta entrati sarà difficile uscirne, per via del perfetto connubio fra composizioni tecniche, ma mai stancati, e liriche dall’incredibile peso e spessore, rasentando il poetico.
Un disco da considerare il primo traguardo di una giovane band composta da membri (allora) 19enni, e che nel corso degli anni a venire avrebbe scritto pagine importanti del metal odierno, partendo dal successivo (ed importantissimo) Fortress, considerato dai più come una pietra miliare, ma non in grado di eclissare totalmente l’importanza e l’impatto del suo fiero predecessore.
Un lavoro che sicuramente fonda le proprie radici su basi provenienti da più generi ed influenze, ma che si dimostra come una delle voci fuori dal coro all’interno di una scena musicale composta da dischi e band dal sound fin troppo omogeneo e conforme agli standard del periodo storico d’appartenenza, uno standard sicuramente scomodissimo per i Protest The Hero.
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