Siamo nei primi anni '70. Un gruppo di ragazzi ha un sogno. Si dannano l'anima, suonano ovunque, cercano di distinguersi con la loro idea, all'interno di un panorama musicale super affollato. Ma tra loro e il futuro c'è quel contratto discografico che non arriva, quella gloria, quel successo gli viene negato. Che fare? Ognuno ha una propria vita, la famiglia, gli affetti, un lavoro. La delusione è tanta. Si torna alla normalità. Ma uno di loro, il più testardo, non ci sta. Prosegue e, con altri compagni di viaggio porta avanti quel progetto. Qualcuno li nota, ed ecco che nascono i Kansas, gruppo indimenticabile ed indimenticato nel pieno di quell'epoca in cui il rock progressivo conosce il momento più fulgido e prolifico. Correva l'anno 2004. Quel ragazzo di allora, quello che ce l'ha fatta, capisce che a quegli amici di un tempo, che nel frattempo non hanno mai smesso di amare quella musica e suonare negli scantinati, deve ancora tanto. Kerry Livgren è diventato un musicista di successo, e vuole falo assaporare anche a quei ragazzi che aveva lasciato trenta anni prima perchè voleva diventare a tutti i costi qualcuno. Li considera i Proto-Kaw, ovvero i pre-Kansas a pieno titolo.
Ed ecco che succede quello che doveva succedere allora. Nasce un disco che ferma il tempo e fa tornare indietro il calendario e le lancette dell'orologio. Di certo, però, non può riproporre il repertorio di allora: sarebbe anacronistico e già sentito. Cosa propinare? Il loro sound, fatto di quello che negli ultimi decenni ci ha proposto il movimeto prog americano e dintorni (soprattutto Dream Teather prima maniera, ma dentro il calderone c'è un po' di tutto). Con una spruzzatina di Kansas, naturalmente. Dentro la loro musica c'è, al di là dei facili paragoni, tanto sano rock; chiamatelo AOR, pump, hard, ma il risultato non cambia. E poi c'è lui, John Bolton, che fa la differenza. Onnipresente, onnipossente. Sassofonista di chiara impostazione jazzistica e flautista "da ricamo", con qualche passaggio che sa tanto di Jethro Tull. Sostituisce, in questo, Don Montre, membro del line-up originario assente, prematuramente scomparso.
Il gruppetto di cinquantenni panciuti e brizzolati ci sa fare, è capace di dare punti a tanti giovanottoni di belle speranze che riempiono, oggi, il panorama musicale. Ascoltate il pezzo finale Theophany per credere; è l'apoteosi, la summa dell'intero repertorio e ci viene servito come la classica ciliegina sulla torta. E qui c'è tutto: per caricare ancora di più il calderone, mettiamoci pure un altro ingredienti, aggiungiamo un po' di Journey che danno un buon sapore. Bello, bello, bello! Soprattutto perchè il before ci piace tanto in questa epoca di tanti deludenti after.
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