Ci sono dischi che necessitano una scissione dell'Io ascoltante, o meglio, visto che non ho idea di quello che ho appena scritto, ascolti mirati e legati a contingenti "stati mentali" particolari. Il nuovo e secondo disco degli Psychic Ills (il cui esordio "Dins" fu uno dei migliori esempi di psichedelia a tutto tondo del 2006), rientra di diritto nella suddetta categoria.
Tipico album da prendere o lasciare "Mirror Eye", può tranquillamente provocare narcolessia e fastidio, quanto lasciarvi ebeti e sbavanti sul divano come foste dentro alla più nebbiosa fumeria d'oppio indocinese. In quasi due mesi di ascolto ho capito però un paio di cose:
- Non va ASSOLUTAMENTE ascoltato in macchina
- Va necessariamente ascoltato a volumi esagerati, tipo i Ministry, e rigorosamente in cuffia, preferibilmente in stati di trance più o meno indotta
- Quelli di Pitchfork non capiscono veramente un cazzo.
Per la spiegazione del punto 3, basta cliccare sulla recensione pubblicata dal sopracitato sito di opinion makers musicali per capire. E non è un problema un voto basso. Il problema sono le giustificazioni addotte, tipo"ora che gli Animal Collective stanno virando sull'ascoltabilità, voi fate un disco improvvisato?" Secondo la stessa logica, se al mio vicino piace pulirsi il deretano con i rovi del giardino, devo fare lo stesso anch'io? Roba da pagargli una seduta di psicoanalisi.
Gli altri due punti sono facilmente spiegabili: vista la stasi ritmica su cui poggia l'intero disco, percorso in lungo e largo da folate di aggeggi analogici di varia foggia e suono, potrebbe seriamente e subdolamente distogliere l'attenzione dalla guida, con susseguente investimento del pedone ultraottantenne sulle strisce. Ma se gli ritaglierete del tempo, e vi rilasserete un po' con queste nenie ossessionanti in cuffia, scoprirete un mondo fatto di grotte indiane dai suoni ovattati ("Mantis"), dove correnti d'aria sembrano aerei che decollano ("Sub Synth") con alla cloche quegli sballati dei Silver Apples ("Eyes Closed") che fra vuoti d'aria mentali ("I Take You As My Wife Again"), e turbolenze cerebrali ("Fingernail Tea") vi porteranno dove nessun uomo (sano) è mai giunto prima ("The Way Of").
Un disco difficilmente giudicabile, ma che sarebbe di sicuro piaciuto a quel vecchio psiconauta di Lapassade.
Carico i commenti... con calma