"I had no idea
that I would lost my mind at this age..."
Quale frase migliore per introdurre un album come "Pretty Prizes", secondo, significativo lavoro degli Psychopathic Romantics?
Se avete già ascoltato "Altered Education", datato 2007 e autoprodotto, allo stesso modo del suo promettente seguito, non vi è sicuramente sfuggita la ricercatezza sonora, compositiva e strumentale del gruppo casertano. Se, però, pensate di esservi fatti un'idea definitiva e completa della loro produzione attraverso quell'attitudine prog che la band denotava nel disco d'esordio, aspettate di gustare, letteralmente, 'Pretty Prizes': piccolo, importante gioiello di questa povera, triste scena rock italiana.
Inutile nasconderlo: questa prima decade del nuovo millennio non ha visto il sorgere di un'alternativa musicale solida, valida, innovativa, che guardasse alla tradizione con intraprendenza e originalità; l'Italia è stato esempio concreto di questa crisi.
Pochissimi gruppi nostrani (e mi permetto di segnalare, tra questi pochi, Il Teatro degli Orrori e i veterani 24 Grana) riescono ancora a sperimentare con energia e capacità di coinvolgimento, preziosa e assoluta.
Gli Psychopathic Romantics, tra questi pochi, emergono senza indugio alcuno.
Come molti, hanno fiutato la crisi profonda, radicata, che, in modo subdolo e perverso, immobilizza, limita e imbavaglia, spingendo a produrre quello che i Molti bramano, capeggiati e lobotomizzati da questi ormai giganteschi media, per continuare ad assumere questi facili, maledetti 'sorrisi trasparenti'.
Per un vivere 'civile' grigio, di cui questo gruppo non desidera farsi portavoce.
Un'introduzione 'spoken' come "What Did You Leave for Us?" potrebbe riportare alla memoria la title track del primo, già citato album della band, ma le sorprese verso le quali ci mette in guardia Mario 'Dust' La Porta in "The Definition of Life" -e già nel titolo dell'album- devono ancora arrivare.
Il battimani ritmico e frenetico di "Democracy's Pill", infatti, sorprende piacevolmente, regalando (almeno per i primi due minuti) l'impressione di stare ascoltando un delizioso pezzo pop minimalista che, inaspettatamente, esplode nella rabbia più spontanea ("damn my fate, damn my destiny...") che un disagio sociale possa innescare.
La spettacolare "Free Barabbas", del resto, è un esempio lampante di questa evoluzione compositiva: il continuo susseguirsi di controtempi è in completa sintonia con un testo labirintico ed estremamente significativo. Innumerevoli sensazioni si alternano in poco meno di sei minuti; la rabbia e il sound distorto della migliore tradizione punk/rock vengono coniugati con maestria a momenti di atmosfere ridondanti, ricordandoci che questi lunatici ragazzi hanno appreso che anche i silenzi sono musica e li utilizzano con perizia.
L'ausilio di strumenti come le zampogne, poi, pronte ad intonare 'Tu scendi dalle stelle', consacra "Free Barabbas" come il pezzo rock definitivo, abbattendo tutte le frontiere che potevano separare una band come gli Psychopathic dal mondo popolare.
Non mancano, in questo album, riferimenti alle atmosfere rarefatte degli esordi. Se "Silent Venom" e "Ant Farm" risentono di un rock contaminato e ricercato mentre "Trasparent Smiles", di fatto, strizza l'occhio ai Radiohead di 'In Rainbows' e 'Ok Computer', "21 [Ventuno]" e "F." risultano di forte matrice progressive, distaccandosi da quella "society of shit" che impregna tutto il disco, ma catapultandoci (complice l'uso di mandolini e di strumenti di tradizione orientale) in luoghi onirici e tormentati in cui potrebbe risultare pericoloso, doloroso avventurarsi.
"Pretty Prizes", dunque, si destreggia con un'immediatezza di ascolto mai scontata tra le sonorità più varie e disparate, trasmettendo stati d'animo estremamente personali e sempre, sempre differenti, degni di un romantico psicopatico. O viceversa.
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