John Lydon è uno che divide, non c’è dubbio. Dagli anni ’70 a oggi è riuscito in qualche modo a far incazzare più o meno tutti, una volta o l’altra. Se ne evince che stare simpatico al mondo non sia una delle sue priorità. Credo che, più di tutto, non sopporti di essere incastrato in un clichè.
Tra provocazioni assolute (“Belsen was a gas”) e bordate anticlericali (il testo di “Religion” è uno degli affondi più violenti mai pronunciati contro le istituzioni ecclesiastiche), battutacce politicamente scorrette e altre amenità, ha continuato a declinare il suo essere punk nel modo più logico: facendo esattamente il contrario di quello che ci si aspettava da lui.

Dal tentativo di destabilizzare un reality show britannico alla britannicissima partecipazione a un ironico spot per una marca di burro, molte delle sue mosse sono state volte a smontare i propri stessi fan storici. Ha definito i Clash “un male grossolano”, dichiarato di non pagare le tasse, insultato vari colleghi a più riprese. Insomma, un perfetto socio dell’accolita dei rancorosi di caposseliana memoria.

Nonostante tutto, mr.Rotten è un geniaccio.
Il punk per lui non è mai stato spille, creste, occupazioni, contestazioni, “no future” fine a se stesso. Il punk per il Marcio è stato ed è situazionismo, iconoclastia e pensiero laterale.
Quando viene accusato di aver riformato i Sex Pistols per denaro, Johnny conferma, dichiara che loro sono stati gli unici a non aver preso una sterlina dalla grande truffa del rock’n’roll e battezza il tour “Filthy Lucre”. Quando gli si chiede di essere trasgressivo, si veste da perfetto lord inglese; quando tutti lo vogliono sperimentale diventa pop, quando ha successo con il pop molla tutto e si tuffa sull’elettronica. Quando gli richiedono un altro tour coi Sex Pistols, riforma i P.I.L. A volte gli è andata bene, più spesso è rimasto da solo.

Sublime nel trovare collaboratori (ne cito solo alcuni: Jah Wobble, Steve Vai, Chemical Brothers, Leftfield, John McGeoch. Un elenco da capogiro), molto meno nel tenerseli stretti.
Deve aver un carattere veramente schifoso, a occhio… diciamo dalle parti di Dave Mustaine.

Sotto la sigla P.I.L. l’uomo dagli occhi più inquietanti dello showbiz (escluso Marty Feldman) infila una serie di capolavori sperimentali: su tutti “Second Edition” e “Flowers of Romance. A metà anni ’80 si dedica al pop, ma sempre con estrema originalità: “This is what you want… this is what you get”, “Album” e “Happy?” viaggiano su livelli altissimi. Nel 1989, per la prima volta, mr.Public Image inciampa, sfornando questo “9”, carente di fantasia fin dal titolo (è il nono album della band...). È senz’altro il suo disco peggiore, soprattutto per colpa di una pessima scelta di suoni, curati e patinati fino a stuccare.

Un suono zuccheroso, affogato sotto strati di glassa come una stramaledetta torta nuziale.
Tra batterie monocordi, chitarre con delay da Valle dell’Eco e tasterione obese, il suo salmodiare di solito minaccioso affoga senza vie di scampo in una specie di meringa sonora.
Lydon ha sempre sporcato i suoni, creato spiazzamenti e cambi di passo in grado di assecondare la propria voce, una delle più sgraziate e originali della storia del rock. Qui invece sembra che qualcuno l’abbia pettinato… e pettinare Johnny è come stirare i vestiti a Tom Waits o costringere Lemmy a lavarsi. Non si fa, punto e basta.

Non solo: per la prima volta qualcosa s’inceppa anche nella composizione: i pezzi che partono bene si perdono per strada, quelli con il ritornello azzeccato fanno acqua nelle strofe. In un paio di casi, come “Brave new world” o “Same old story”, gli spunti, spesso validi, di McGeoch vengono spiaccicati a terra da ritornelli imbarazzanti.
Nonostante tutto questo, “9” contiene alcune perle: il bel singolo “Disappointed”, “Happy?”, la monocorde ma fascinosa “Armada” e soprattutto la cinematografica “U.S.L.S.1”, colonna sonora ideale per un incidente aereo.

Troppo poco per salvare il disco dall’oblio: lo consiglio solo a chi vuole avere tutto, ma proprio tutto, dei P.I.L. Per tutti gli altri il consiglio è: ubriacatevi, spegnete la luce e mettete in cuffia a tutto volume “Flowers of romance”. A vostro rischio e pericolo, naturalmente.

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