Personaggio troppo ingombrante anche per quel concentrato di esplosività e ribellione che erano i Sex Pistols, John Lydon (ex Rotten) abbandona il gruppo quando ancora l’ondata punk è viva e vegeta: per primo intuisce infatti la rapidità del fenomeno che lui stesso ha contribuito a creare, e decide di perseverare nella sperimentazione musicale, lui tutt’altro che musicista d’accademia. I Public Image Ltd sono un’evoluzione naturale dei Sex Pistols, conservando il gusto critico del cantante e la sporcizia dei suoni, esplorando però un suono meno glamour e accattivante, decisamente più disturbato e studiato. Per rilasciare il primo album dei PiL, Lydon si avvale della collaborazione dell’ex Clash Keith Levene, del batterista Jim Walker e dell’ex compagno di scorribande criminali Jah Wobble.
L’opener "Theme" lancia un solo messaggio: benvenuti nel post-punk. Antitesi di canzone, con la chitarra che frigge e sfrigola in contrasto con la ritmica cadenzata e marmorea, la prima traccia pesca a piene mani nel rumore puro e nella psichedelica estrema, esasperando il concetto prettamente punk di non-bello. Le sonorità sono oscure e la voce di Lydon vaga urlante per tutti i nove minuti, descrivendo un malato e schizofrenico compendio di quelle che saranno le scelte goth-dark. Il punk pulsa ancora sulla scena musicale mondiale, ma l’immediatezza anarcoide dei Pistols non potrebbe essere più lontana in questo momento.
La doppietta di "Religion" affronta in maniera molto diretta e critica il Cristianesimo (Lydon è figlio di immigranti cattolici irlandesi): se la prima parte è recitata come un salmo blasfemo e meccanico, la seconda spalma lo stesso testo su un riff punk rock al cloroformio, rallentato ma penetrante. La ripetitività da catena di montaggio della canzone rende un nuovo concetto di psichedelica, se vogliamo antenato di una certa fetta di industrial. Ovviamente non mancano inserti di un pianoforte straziato, giusto per continuare nell’opera di distruzione scientifica della musica, mentre la marcia di "Religion" si trascina nel gorgo da cui provengono gli strali del caro Johnny.
"Annalisa" viaggia su binari più tradizionali, ovvero un bel giro di basso e una chitarra aggressiva e intrigante. Lydon innesta i suoi canti da muezzin sguaiato su un ossessivo percorso che del punk ha sicuramente molto, ma srotolato e allungato per l’occasione. La voce dal fondo del pozzo non inganni: "Public Image" è puro punk Sex Pistols. Le atmosfere sono lievemente più cupe, più post-atomiche se vogliamo, e Levene si permette anche un assolino, ma su "Never Mind The Bollocks" la canzone ci sarebbe stata a puntino. Di certo, uno dei pezzi più immediati e “piacevoli” del disco. "Low Life" invece sa talmente tanto di garage che sembra di percepire il sudore provocato dal suonare in un ambiente troppo stretto: pezzo che denota evidenti origini punk, ha in primo piano il basso di Wobble che, nella mistura con la chitarra acuta e ripetitiva, rende quella che ormai è una familiare e avveniristica (per l’epoca) atmosfera gotico-metropolitana.
"Attack" spoglia la già scarna canzone punk rock e la rende scheletrica e spettrale: rimangono vuoti, aloni e fantasmi rabbiosi aleggianti attorno al solito riff martellante. La tecnica della desertificazione della musica, privandola di tutti gli orpelli sarà ripresa moltissimo da tutto il filone post-punk, anche se con riletture diverse (citofonare in casa Cure).
Ha sapori dub-acidi invece "Fodderstompf", esplorando il terreno un anno abbondante prima di "London Calling" dei Clash, visto come pietra miliare per la commistione di generi. E’ la voce di Jah Wobble a dirigere le danze in questo pezzo, psichicamente instabile e ondeggiante in spire deliranti di suoni alieni. Il groove schizoide da discoteca di un manicomio chiude, spiazzando ancora, la prima opera su vinile dei Public Image Ltd.
La prima uscita dei PiL riprende evidentemente la traccia dei Sex Pistols, elaborandola e stravolgendola.
Ogni singolo elemento contiene rabbia e ripetizione, per rendere il tutto decisamente alienante e stordente. L’ascolto di First Issue è difficile e provante: il disco può essere irritante, cacofonico e brutale, ma scavando attentamente sotto la superficie volutamente repellente creata da Lydon si possono scoprire piccole gemme sonore di scarna oscurità e di programmatica follia, basilari per quello che sarà lo sviluppo sonoro della scena pop rock anni ‘80.
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