"Babies" dei Pulp è l'inno voyeurista per antonomasia. Lo è a giudizio del sottoscritto, almeno. Ce ne saranno altri, magari. Ce ne sono di certo. Uno è "I Spy" degli stessi Pulp. Ma per quanto mi riguarda, questa Canzone li frega tutti in partenza. Anche quelli che adesso mi sfuggono, e che comunque servirebbe a poco affannarsi a ripescare: non c'è partita. E forse, mai ci sarà.

Perché è un manifesto di morbosità adoloscenziale come pochi. Uno spaccato di vita vista dal buco di una serratura, o - nello specifico - da un minuscolo pertugio escogitato dentro una camera da letto. L'ebbrezza impareggiabile di poter vedere senza essere visti. Il brivido di poter essere scoperti. La voglia insaziabile che porta COMUNQUE a correre il rischio. E questa Canzone mette a nudo il GUARDONE che abita in molti di noi. Con risvolti imprevedibili.

Stanhope Road esiste davvero, a Sheffield, e lì abitava l'amica che era oggetto delle attenzioni di un giovane e imbranato Jarvis Cocker. Ma (problema) l'amica non ricambia, non in quel senso. E allora (soluzione, anche se temporanea) ci si accontenta origliando di nascosto alla porta della sorella di lei, di due anni più grande, che è solita intrattenersi con ragazzi all'uscita da scuola. Uhm. Non male.

Ma non basta.

A un certo punto Jarvis-Boy si rende conto che non val la pena di accontentarsi delle briciole quando si può avere molto di più, e che soprattutto (constatazione oggettiva, legge universale) VEDERE è pur sempre meglio che soltanto ASCOLTARE. E quindi (soluzione, stavolta definitiva)... perché non approfittare di quell'armadio in camera e sistemarsi dentro, che c'è uno spiraglio da cui la visuale è buona...? Meglio di una partita vista in tribuna centrale. E noi ce lo possiamo immaginare là dentro, mentre in silenzio si gode tutto lo spettacolo. Non cè neanche più bisogno di aggrapparsi all'immaginazione. E' tutto a portata d'occhio. E' lì.

Ma la pacchia finisce. Viene scoperto. E finisce anche la storia, ma non nel modo che si potrebbe immaginare. Colpo di scena. Questo, però, lo si scopre solo alla fine del pezzo. E in fondo io starei scrivendo una "recensione" su un DISCO...

...perché, che ci volete fare, è facile lasciarsi trasportare quando si parla dei Pulp, il gran "pasticcio" (sonoro ma non solo) di quel geniaccio di Jarvis Coker, abilissimo a cavalcare l'onda del Brit Pop di metà-anni '90 senza mai farne parte a pieno titolo. Che aveva mai a che fare, lui, con QUEI DUE di Manchester con l'occhialetto à la John Lennon, e con altri interpreti (per lo più modesti, salvo preziose eccezioni) di un fenomeno effimero - del quale sarà lui stesso a sancire la morte, con quel Capolavoro che è "This Is Hardcore"...? Poco. I Gallagher erano signori nessuno, quando a Sheffield la band del nostro si faceva le ossa nei primi anni '80 (la stessa Sheffield degli Human League, pensate), e il successo era ancora lontano. Quando salì agli onori delle cronache, si scoprì un bambinone cresciuto a metà, con le sue manie ossessivo-compulsive e una spiccata tendenza a entrare in fissa (ma erano sempre fissazioni passeggere, a suo dire...) con esponenti dell'altro Sesso.

E "His'n'Hers", molto più che una semplice raccolta di (belle) canzoni Pop, è una scatola che bisogna star bene attenti ad aprire - pena il rischio di vedersi franare addosso una montagna di malinconia, frustrazione repressa, sbiaditi ricordi di anni addietro. E se per caso siete fra quelli che i Pulp non li hanno mai ascoltati, vi basteranno pochi minuti per capire perché l'essenza della loro formula è soprattutto nelle tastiere di Candida Doyle: atmosfere spesso surreali al pari delle imbarazzanti storie raccontate, sfocate e annebbiate come occhi dopo un improvviso risveglio. Un ibrido di Rock e di anomala Disco-Wave fuori tempo massimo, ma capace di trasformare questi reduci ottantiani nei più nobili e imprevedibili intrusi delle alte classifiche-"nineties"...

...e allora si salirà in macchina e si partirà in quarta sulle note di "Joyriders", aspettando con frenesia il sabato sera per darsi a un arrangiato "acchiappo" senza successo, ma ci si smonterà presto davanti a quel ritratto di femminilità "sfatta" che è "Lipgloss" - palate di tristezza e, appunto, solo "lucidalabbra e sigarette" su quel refrain disperato e singhiozzato, e quella chitarra finale "sintetica" e irresistibile. Si sprofonderà dentro lunghi pomeriggi "acrilici" e con "Have You Seen Her Lately?" si entrerà, disorientati, in una bolla sonora di livide immagini distorte. Si ricorderanno bei tempi (?) e palpate varie in "She's A Lady", ma manco a dirlo che finiva male anche in questo caso... si andranno a toccare tasti (fin troppo) dolenti in "Do You Remember The First Time?" - ma no, non parliamone, lasciamo stare e cambiamo argomento... e fra le altre, un'esile e rarefatta "Someone Like The Moon" non potrà MAI risollevare il morale già stramazzato a terra senza speranza.

E' il disco del "poteva essere ma non è stato", del "c'è quella lì che mi piace, ma lei non lo sa", del "ti porterei a casa, saresti la mia ragazza per sempre e avrei tanti figli con te", ma la cosa è improponibile ancor prima di poterla pensare, figuriamoci farla. Il disco di un adolescente eterno che si costruisce lungometraggi nella testa e prova a riscriverli con un finale diverso da quello che la realtà gli metterebbe davanti. Perché nel film è lui a decidere, è lui il regista. E per una volta, le attrici seguirebbero il copione sperato.

E se volete, ricordatevi di quella meraviglia di "Happy Endings", in cui Jarvis veste lo smoking del crooner più improbabile e patetico di sempre, e quasi sottovoce s'inventa un: "Immagina che sia tutto un film e che la protagonista sia tu, e che presto si arrivi al punto in cui dovrai dare il tuo cuore... bene, in quel momento... dallo a me".

(...)

Sarebbe tutto più facile...

Sarebbe un lieto fine.

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