Punch: a thrusting blow, especially with the fist. La recensione potrebbe già finire qui. Ungaretti sarebbe orgoglioso di me. Siccome due paroline bisogna spenderle lo si fa almeno volentieri in quanto questo "They Don't Have To Believe" è proprio un lavoro che merita il suo giusto palcoscenico. Direttamente dalla solita, instancabile California e dalla mai soporifera San Francisco questo gruppo in realtà sarebbe un progetto parallelo. Uno di quelli in cui meno si sa, meglio è. Infatti non capisco una cippa della girandola di chi ci suona su disco, live, di gente che entra/esce dal gruppo. Cerchiamo di non rimanere nell'anonimia però, perché ci son nomi e cognomi di un certo peso. I soliti noti, tra l'altro. Per esempio nella band ci ha suonato (suona) qualcuno dei Loma Prieta: Brian Kanagaki e Val Saucedo. Insomma, mentre c'è chi si diverte nei Beau Navire (Sean Leary), questi altri due si liberano qui dentro, come se ne avessero bisogno vista la creatura madre. I due dischi (più gli immancabili singoli/EP/split) precedenti son usciti su Discos Huelga, proprio la label di Val. Stavolta licenziano per Deathwish, ah, che strano. Altro riferimento vuole che la produzione sia affidata a Jack Shirley di cui ho perso il conto delle volte che lui e il suo Atomic Garden compare nei ringraziamenti di decine di artisti della scena West Coast (e non solo). Mangiata la foglia, insomma? A Palo Alto chiedete di lui e siete apposto.

Sintesi rapida, per sintesi fulminea. Qui dentro ci trovate hardcore, punto. Poi, vabbé, dai, facciamo i precisini e dalla cabina di regia mi suggeriscono che lo si possa declinare in fastcore o in powerviolence. Sì, fast è fast, non c'è che dire. Tu hai 15 pezzi e poi ti sfoghi per 19 minuti, il conto torna, se poi in mezzo ci piazzi un brano (?) che tocca i sei secondi di napalmdeathiana memoria (madre mia, che neologismo atroce, così orrido che lo lascio, va) capiamo che i nostri avevano voglia di far come dei novelli Giulio Cesare: veni, vidi, vici. Effettivamente ne escono trionfanti i Punch da quest'ermetismo nelle composizioni. Riff thrashosi che portano alla memoria l'old school più classica, sbalzi di velocità che provocano adrenalinici cambi di rotta, batteria che fra tupatupatupatupa incessante e ridotti interludi decide pure di spararti in pieno volto blast beat dai rimandi grind. E poi c'è lei, dulcis in fundo, Meghan O'Neil. Lei? Sì, perché, questo almeno fino a settembre (quando ha deciso di lasciar il gruppo, mannaggia eva), i Punch erano capitanati da una voce talmente strillante, acuta e su di giri che rompeva ogni barriera e ostacolo le se parasse dinanzi. Si narra che dallo sgabuzzino dello studio di registrazione mentre c'erano da completare le linee vocali sia apparso nelle vesti di spazzino Bruce Dickinson a declamare un "scream for me Meghan" per poi ritornare nell'ombra.

Qulcuno ha fatto incazzare Meghan. Acida e velenosa, senza pause, non penso manco che rifiati un attimo. In ogni frangente è esasperata, da qualsiasi parte la si voglia vedere è rabbia irrazionale e incontrollata che è urlata con irriverenza: "Will you be judged? Will you get comments? Will you get stares? Will you feel helpless? will you be followed? You've got to walk in pairs. Don’t we have anything else to offer? You only see the surface. Your unwanted opinion is worthless, but not harmless. Our looks, our bodies, are none of your fucking business. We don’t exist for you to appraise, not a compliment, no fucking thanks". Le strutture sono ridotte all'osso. Scheletriche e al fulmicotone, non potrebbe andar meglio. Niente sound plasticosi dell'ultim'ora (la registrazione è live to tape), solo tanta energia da spendere e rilasciare cercando l'irruenza più killer e frastornante, grazie al supporto letale di un Dan Africa (chitarra) tagliente come un rasoio affilato che riesce a scorticare la pelle più morbida. Non c'è molto su cui arrovellarsi è un trascinante vortice di risentimento e ansie personali buttate fuori senza che alla guida del treno ci sia qualcuno. Lo schianto è inevitabile.

Molto semplicemente se amate l'hardcore oltranzista "They Don't Have To Believe" deve esser vostro, condito pure con un'etica DIY invidiabile è una gemma che scalfisce, colpisce e non si preoccupa di guardare in faccia a nessuno. Non esistono abbellimenti del caso, doloroso quanto il morsicarsi la lingua fino a farla sanguinare si fa strada, mentre voi pigliate lo skate e andate giù in riva al Pacifico a fare qualche trick ascoltatevi questo nelle cuffie e isolatevi dal resto del mondo. Ne vale la pena.

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