Ciao a tutti e bentrovati su queste pagine, amici e amiche!

Scusate se la recensione verrà così così e non come i miei vecchi standards di due anni fa, ma è buttata alla rinfusa prima di andare a cena, tenendo conto che a recensire ci ho un po' perso la mano.

Vorrei però dedicare qualcuna delle mie righe, con e per Voi, dedicandola al Festival di Sanremo e alla canzone, che, fra tutte, più mi ha colpito, "Italia amore mio" di Pupo, sua Altezza Principe Emanuele Filiberto, e il tenore Luca Canonici, a mio avviso - e non solo mio a dirvela tutta qui, se volete metto a disposizione gli sms pervenuti al mio numero di cell. dall'Alpi alle Piramidi! - una delle migliori canzoni del decennio, e probabilmente, l'unico vero anthem che sia suonato all'Ariston nel giro degli ultimi lustri, almeno dai tempi dell'altrettanto valida "Italia" del compianto Mino Reitano.

So già che, tranne i più smaliziati, alcuni di Voi avranno già alzato il sopracciglio e/o cliccato col mouse bofonchiando "Il solito Il_Paolo, che spaccia m. per cioccolato e ci rovina il sito!", ma io penso non sia così, e, nei limiti espressivi e di tempo che mi sono dato, cercherò anche di dirVi il perché.

Questa è una canzone che parla d'amore, ma non dell'amore trito e ritrito nello stile classico sanremese, ovvero quello per Lui o per Lei, di cui grandi saggi abbiamo avuto in passato, ma di più amori, sfaccettati ed al contempo universali: quello di Pupo per il pubblico, testimoniato dalle armonie catchy e radiofoniche degli incisi e delle orchestrazioni di piano; quello di Emanuele Filiberto di Savoia per il suo (e nostro) Belpaese e dei valori che esso incarna o dovrebbe incarnare, visti da un ragazzo, come lui, nato in un esilio che sembrava destinato ad esser perenne, e che l'ha portato a scorgere, da lontano ed in forza della presbiopia di tutti coloro che sono distanti, più i pregi che i limiti della bella Italia; non ultimo, quello dell'ottimo tenore Luca Canonici per il bel canto e l'opera, ovvero per l'arte tutta, regalandoci una performance, che, certo agevolata da un'aria plasmata sulla più nota "Over the Rainbow", porta senza dubbio tutti ad alzarsi in piedi ed unirsi al canto, voci permettendo, in questa esplosione gioiosa che culmina nel refrain "Italia amore mio".

Ebbene, in quella parolina magica, "Italia" per l'appunto, abbiamo un climax che porta ad unire, in una sola entità, tutti gli amori possibili, visti in una chiave trasfigurata, superiore, mediata dall'arte popolare dei tre, ovvero pubblico, popolo, e musica, in una parola Noi, Noi tutti, compreso anche il gentile pubblico di Debaser.

"Italia amore mio", è, insomma, una canzone che nascere per essere universale, trasversale, fatta per unire più che dividere (ed è profondamente ironico che pubblico e critica si siano divisi nel giudicarla), svelando delle intenzioni da piccolo mondo antico che, riviste oggi ed in questi tormentosi momenti, suona un po' come una fiaba in cui, tutto sommato, non è poi brutto credere.

Quasi un modo di tornare indietro ad un tempo in cui, con lo sguardo e l'orecchio ingenuo con cui tutti noi, anche qui dentro, ci siamo avvicinati alla musica, credevamo che tutta la musica fosse in Sanremo, e tutte le cose, il bene ed il male, il bello ed il brutto, chiuse in quel piccolo magico teleschermo che accendevamo con o senza il permesso dei genitori. Che poi è come quando si andava alle elementari, e si pensava che tutto il mondo fosse racchiuso nel nostro quartiere.

Mondo semplice, quasi infantile, in cui tutto risultava facile, anche il dolore, per non dire delle cose belle che hanno sempre e comunque, anche oggi, la magia della facilità.

Che poi l'insieme sembri posticcio, quasi kitsch direi, inserito in un contesto negli ultimi anni certo deludente, come quello di Sanremo (ma un plauso alla procace Antonellina Clerici io lo darei), destinato a sollevar polemiche essendo il rampollo reale discendente di una schiatta che non si è certo ben comportata nei confronti degli Italiani - e soprattutto della minoranza degli Italiani - è pur vero, ed onesta intellettuale ci obbliga a riconoscerlo, per quanto ci possa far velo la simpatia per i tre e per l'ambaradan che possono aver messo su.

Eppure, sapete bene come la penso, non sono queste obiezioni a togliere valore ai pregi di un pezzo già entrato nella storia, già classico - o instant classic come qualcheduno mi ha detto - , posto che esse si rivolgono alle persone che hanno prodotto il pezzo, e non al pezzo in sé ed alle emozioni che esso può e potrà dare negli anni in forza delle sue virtù oggettive, e della capacità suasiva svelata nei confronti dell'uditorio.

Un brano, una musica, una frase, parlano da soli, e lo fanno con maggior forza quanto più si allontana il momento in cui sono stati scritti, suonati, proferiti, quanto più, con il tempo, sfumano i profili dell'autore e si rafforza l'eco del verbo e delle note.

Ecco perché, nonostante le ovvie critiche - che al limite posso anche condividere mettendomi nei panni del giovane italiano alternativo/medio - penso che questa canzone, al contempo nulla più e molto più che una canzone, sopravvivrà agli anni per divenire simbolo ed epitome di un periodo storico, dello spirito di un popolo, come ad esempio capitò a "L'italiano" di Toto Cutugno.

Passo e chiudo così - per tornare nell'anonimato -  con una piccola notazione di colore: qualche tempo fa, prendendo il sole su una spiaggia assolata sulle note di un classico di Gino Paoli, pensando ai giorni che passavano pigri, lasciando in bocca il gusto del sale, mi si raccontò di un signore del paesello che, andato negli States, tornava ogni anno raccontando ai suoi parenti della carriera d'uomo di spettacolo a Broccolino e Nuova Iocc, a supporto di bravi jazzmen dei sordidi quartieri di periferia: un anno, se ne tornò con la sua chitarra e la sua canzone dedicata alla mamma, in cui si diceva che di mamma, e di patria, "una sola ce n'è". Quando poi, anni dopo e vecchio morì, per quante ne avesse combinate in vita, fu quella canzone a parlare per lui e a sopravvivergli.

Allora non me la prenderei troppo con Emanuele Filiberto: fra anni e anni gli sopravvivrà questa canzone, e non penso sia poi male, per un ragazzo con la sua storia, e per un Paese con la nostra Storia, ricordare questo simpatico marpione per un pezzo, che, come tutte le canzoni, in fin dei conti ci parla, in un modo o nell'altro, d'amore. Anzi, Amore.

Storicamente Vostro

 

Il_Paolo

 

 

PS: comunque niente male Noemi e Maria Nazionale!
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