Parigi, 3 luglio 2007. “La Cigale”, distante qualche pornoshop dal più celebre Moulin Rouge, ha nel kitsch degli interni un’atmosfera stokeriana che ben accoglie il folto gruppo di non-morti amanti del prog-rock; c’è il signore attempato che non si è mai veramente ripreso dalla delusione di "Abacab" e il giovane capellone che ha scoperto i mostri sacri secondo uno degli itinerari che partono da "Images And Words" e vanno a ritroso. Entrambi si ritrovano qui, ad aspettare che i Porcupine Tree salgano sul palco.
A casa Wilson l’aperitivo è di quelli che ti fanno chiedere se anche la cena vera e propria sarà altrettanto gustosa. Perchè i "Pure Reason Revolution" sono un gruppo spalla da urlo, e non solo perchè considero personalmente più facile innamorarsi di una come Chloe Alper che di Steve Wilson… Insomma, questi ragazzotti inglesi escono dalle casse con un sound talmente corposo da portarti alle prime note di “Fear Of A Blank Planet” quasi a pancia piena. Quando anche i Porcupine Tree, dopo due ore prevedibilmente perfette, salutano il loro pubblico, a me torna alla bocca il gusto di quell’aperitivo sorprendente; la bancarella all’entrata della “Cigale” chiude così la giornata con un disco in meno, “The Dark Third”, l’esordio dei "Pure Reason Revolution".
Chloe Arper (voce e basso) e i fratelli Courtney (Andrew alla batteria e Jon tra chitarra e seconda voce) più James Dobson, Gregory Jong e Jamie Willcox per le aggiunte di voce, chitarre e tastiere, fanno su disco molto meno effetto di quanto non ne facciano sopra un palco. A un primo ascolto, anzi, è tutto troppo piatto per appartenere allo stesso gruppo che mi ha folgorato alla “Cigale”. Il tempo, però, mette a posto le cose; a poco a poco le tessiture strumentali di questo concept tra Freud (i sogni) e Kant (la ragion pura) si prendono di diritto il loro posticino sottopelle e il saliscendi barocco delle armonizzazioni vocali tocca finalmente le corde giuste. Gli episodi più strettamente progressivi (“The Bright Ambassadors Of Morning”) portano a galla una varietà notevole di accorgimenti sonori, che si ripercuotono altrettanto efficacemente sull’incedere dei momenti più spinti (“Nimos&Tambos” o l’impetuosa bonus-track “In Aurélia”). Ma le fila principali, almeno per quanto riguarda l’originale “sapore” di questo disco, le tiene già tutte l’intro strumentale “Aeropause”; elettronica e psichedelica ben dosate, e tanto gusto. I seppur piacevolissimi vocalizzi soffrono un po’ di artificiosità, mentre i momenti più complessi, che prendano dai Tool o dai Mars Volta, sono ancora distanti anni luce dai modelli originali.
Resta, non intaccata, l’anima di questo godibilissimo concept; se un terzo della nostra vita lo passiamo davvero a sognare, i Pure Reason Revolution sono sulla strada buona per non farci staccare la spina quando inevitabilmente ci svegliamo.
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