Un autentico EP vecchio stampo introdusse, alcuni anni fa, la presunta nuova speranza dello street rock americano, un four piece dall’età media di diciannove anni lanciato verso un potenziale successo su larga scala dalle alchimie in fase di produzione esecutiva messe in atto dalla “strega” (senza offesa…) Sharon Osbourne.

Introduzione ideale al mediocre full – lenght “Glamorous Youth”, previsto per i primi mesi del 2002 ed uscito solo negli States nella seconda metà dello stesso anno, questo maxi singolo dimostra tutti i limiti del gruppo dovuti in larga parte alla giovane età e ad una tecnica strumentale non propriamente sopraffina. Lo sleazy rock n’ roll ivi proposto non è altro che un aggiornamento della formula che ha reso note bands come Guns N’ Roses (lo testimonia la presenza di Mike Clink, produttore del capolavoro “Appetite For Destruction”, dietro la consolle), Vain, L.A. Guns e Faster Pussycat presentata in chiave più accessibile e meno ruvida.

I quattro ragazzini, seppur consci dei loro limiti (invero decisamente evidenti), osano senza paura cimentandosi in una cover di una canzone impegnativa come l’imprescindibile “Let there be rock” dei maestri AC/DC (anch’essi da annoverare, senza dubbi di sorta, fra le fonti d’ influenza dei Pure Rubbish): il risultato non è esaltante ma il pezzo rappresenta uno dei migliori slanci del disco. Scorrono via invece senza lasciare traccia alcuna le impalpabili e scontateElectric heart” e “Parts unknown” in cui si saccheggiano abbondantemente i repertori di tutte le bands cosiddette minori degli eighties, dai Jetboys ai Junkyard, passando per Princess Pang, Tuff e Dangerous Toys. I Pure Rubbish alzano moderatamente il tiro soltanto con la discreta song “Kiss of death” traccia pur sempre “evocativa” ma dall’impatto decisamente superiore a quant’altro presentato dal baby ensemble in questa sede.

Il tempo non sembra essere stato troppo magnanimo con questo combo, di cui si sono perse velocemente le tracce: la loro scomparsa deve essere letta come un netto fallimento personale della moglie/manager di Ozzy Osbourne ma anche come frutto di scelte stilistiche errate del management della Divine Record, che hanno portato i Pure Rubbish a suonare sleazy rock presentandosi al pubblico come una versione tascabile di pop rockers da operetta come American Hi–Fi e The Calling. Questo EP, peraltro difficilmente reperibile, è la dimostrazione lampante di come scelte d’immagine prese a tavolino non si sposino con le esigenze del pubblico devoto allo street rock che, fiutando i retroscena commerciali dell’orrenda pantomima “Osbourniana”, ha decretato senza pietà la morte mediatica di questo quartetto.

In definitiva “Pure Rubbish” si pone su livelli immensamente inferiori rispetto ad episodi illustri pubblicati in quella stessa stagione da super – bands quali Beautiful Creatures e Buckcherry, rappresentando una delle peggiori release discografiche in campo hard rock dell’ intero 2001.
(Enrico Rosticci)

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