Pussy Galore non è soltanto il nome di una delle più avvenenti Bond girl di sempre (su "Goldfinger"), ma anche la ragione sociale di uno dei più urticanti e seminali gruppi americani degli anni Ottanta. Assieme ai Jesus and Mary Chain, la band di Jon Spencer, Bob Bert e Neil Hagerty fu probabilmente una delle migliori in quella decade a sezionare, squartare e decomporre il cadavere del rock, iniettandogli robuste quantità di avanguardia rumorista per cercare di ottenere in vitro un homunculus metodicamente infrazionato, grezzo, spastico e convulso, in grado di estendere la sua influenza sulle più svariate attitudini noise in seguito.
"Dial M for Motherfucker" è forse l'album più equilibrato nel mostrare l'espolosiva mistura sonora del combo: il rock and roll più selvatico e il blues primordiale mischiati con schegge di scuola industrial-dissonante. L'impalcatura dell'album è costituita quindi da feroci spasmi stoogesiani, cut-up vocali e laidi riff stonesiani stratificati su tonnellate di rumore, forse mai così efficaci nel forgiare una sagoma garage futurista, mutante e allucinante. Il tutto suonato da tre chitarre, una tastiera e una batteria simil-industrial. Certamente non i migliori musicisti al mondo, ma concettualmente già oltre.
Tra i solchi di questo lavoro troviamo anzitutto pezzi più marcatamente garage punk ("Undertaker", "Dick Johnson", "Waxhead"," Hang on", "Evil eye" e "Wait a minute"), quintessenziali nel reinventare una via low-fi alla riscoperta del blues in chiave noise, tramite corrosive centrifughe beefhartiane e distorsioni al cardiopalmo. Ottimi sono anche quei momenti più sfrangiati e articolati, come l'opener "Understand me", fosca e melmosa, e una "Kicked Out" dominata da un vertiginoso e sghembo tourbillon di tastiera.
Significativo anche l'immaginario di riferimento del gruppo, ben illustrato dalla copertina (un leather-man che irrompe in un appartamento della Bowery, la via delle prostitute newyorchesi) e al quali il Tarantino di "Pulp Fiction" avrà certamente prestato attenzione: sconquassi da topless-bar, piccole oscenità quotidiane, conferendo una patina di peccaminosità, brutalità e pericolosità che è poi la matrice originaria del rock and roll, con buona pace dei troppi intellettualismi che imperavano all'epoca.
Alla fine degli apocalittici Anni 80, questo sfrenato e assordante canovaccio iper-realista fu a modo suo uno dei più genuini e inconsapevoli atti di rivolta contro il sistema.
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