Alcuni reduci di deludenti esperienze all’interno dell’underground italiano finiscono sotto l’ala protettrice di Giulio Ragno Favero: nascono i Putiferio. E’ sicuramente il progetto più sperimentale del Re Mida della scena indipendente nostrana che, dopo aver preso in mano chitarra e basso rispettivamente negli One Dimensional Man e nel Teatro degli Orrori, qui si siede dietro le pelli. La loro è una musica di respiro internazionale, che saccheggia a piene mani dall’heavy-rock dei nineties (Melvins e Neurosis su tutti) per frullarlo con la pazzia sperimentale à la US Maple ma alcuni, quelli con le orecchie più allenate, ci sentiranno forse pure i Can per via delle loro azzardate soluzioni ritmiche.
“Ate Ate Ate” (’08, Robotradio Records) è la colonna sonora della fine del mondo, dell’apocalisse post-atomica, narrata con efferata spietatezza. Ma, se Caronte era stato forse un po’ burbero con quella schiappa raccomandata di Dante, i Putiferio agiranno con ben più crudeltà nei confronti dell’ascoltatore, che sarà traghettato in questi scenari bui e tenebrosi a suon di malati tempi dispari e infernali sonorità labirintiche; l’opener “Give Peace a Chancer”, oltre che per la sua grottesca citazione, ne è l’emblema: sembra la destrutturazione, quasi a livello atomico, della violenza viscerale di King Buzzo & co. che lascia il posto solamente ad un assordante noise-rock guidato dalla batteria perennemente fuori tempo di Favero. Ascoltare le successive “Aristocatastrophism” e “Cannibal Corpse for Severs” significa invece immedesimarsi con lo spettatore del conflitto: il suo terrorizzato flusso di coscienza è disegnato sonoramente alla perfezione dalla performance schizofrenica del cantante, seguito a ruota dai suoi rumorosissimi compagni che continuano il loro feroce processo di decostruzione ritmica e sonora.
Il bello arriva con “Putiferio Goes to War”, traccia centrale, summa del Putiferio-penserio nonchè spensierata dichiarazione d’amore di Favero nei confronti di Scott Kelly e Steve Von Till: 13 minuti di digressioni post-core in cui si alternano, come ai bei tempi di "Through Silver in Blood", bordate noise-core, manipolazioni industrial e le derive psichedeliche più impalpabili. In “Hate Ate 8” si ode la richiesta di pace del pianeta stremato, mentre in “Where Have All The Razors Gone?”, scritta in collaborazione con Luca Mai degli Zu, vi è un’altra letale dose di decibel che sembra tracciare il percorso devastatore di qualche predone post-nucleare. La finale “Holes Holes Holes” è il ritorno al primitivismo dell’umanità dopo l’era atomica, scandito da un incedere di percussioni e di tribalismi, sulla scia dello sperimentalismo ritmico che permea tutto il lavoro.
In definitiva, questi Putiferio hanno proiettato la loro piccola creatura, partorita coi mezzi limitati dell’indie-rocker italiano, sulla scena internazionale a sgomitare con i giganti stranieri, americani o europei che siano.
“Ate Ate Ate” è il vostro disco dell’anno, soltanto che non l’avete ancora ascoltato. Embè? In tal caso, tenetevi i Fleet Foxes.
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