Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento di proporzioni notevoli della popolarità dei content creator. YouTube è diventato rapidamente il mezzo prediletto per costruire una carriera dal nulla, dall'essere se stessi e generare immedesimazione a partire dal puro dato anagrafico della giovane età. E naturalmente l'intrattenimento proposto sulla piattaforma è arrivato a toccare gli ambiti più disparati. La musica adottata come parodia è un bersaglio fin troppo facile di questa espansione contenutistica. Spesso, tuttavia, chi giunge alla creazione di vere e proprie canzoni con intento comico piega gli elementi melodici e ritmici al proprio copione umoristico, deviando l'attenzione dei fruitori dalla musica al testo. Nel caso in cui questo modus operandi non sia frutto di sapiente analisi dei mezzi di comunicazione ma banalmente di incompetenza nell'ambito musicale, il content creator rimarrà in stato larvale come artista a tutto tondo. Differentemente, la transizione presenterà comunque non poche problematiche.

Benjamin Lasky, in arte Quadeca, è nato nel 2000 e vive su Internet praticamente da sempre. YouTube è stato per anni il mezzo da lui privilegiato per la condivisione delle sue passioni. Ha iniziato, come molti altri, con video di gameplay su FIFA, per poi spostarsi gradualmente verso contenuti più orientati alla musica, diventando un vero e proprio rapper. Nonostante l'atteggiamento buffonesco, è sempre stato cosciente della lunga strada da percorrere per diventare un artista completo (lo testimonia il titolo fortemente autoconsapevole del suo mixtape d'esordio datao 2015, "Work in Progress").

La crisalide a cui si è alluso in precedenza è però diventata farfalla solo negli ultimi anni, quando Lasky si è allontanato sempre di più da YouTube per dare voce alla propria ambizione artistica. Il primo passo evidente in questa direzione è stato mosso con l'album "From Me to You", dello scorso anno, e in particolare con il singolo "Sisyphus". Quadeca ha così insieme acquistato credibilità come artista (già allora rimarcava con buone motivazioni di aver prodotto da sé la quasi totalità del disco) ed appreso dai suoi errori, primo fra tutti l'eccessiva distanza tra l'uscita dei primi singoli e quella dell'LP completo.

"I Didn't Mean to Haunt You" era senz'ombra di dubbio l'album più atteso dell'anno tra quelli che le riviste prevedibilmente non prendono in considerazione. L'ascolto conferma l'evoluzione di Quadeca, ora un musicista a tempo pieno. Il ventiduenne losangelino ha saputo ritagliarsi una confortevole nicchia in cui sperimentare con le texture pur senza rinunciare a hook orecchiabili di chiara ascendenza emo-rap, un genere che per sua natura flirta con il pop.

Dal punto di vista testuale, "I Didn't Mean to Haunt You" è un concept album che tratta del suicidio del protagonista e della sua trasformazione in fantasma fino all'accettazione della propria condizione. Una trama che rischiava di scadere nel patetismo, ma di cui Lasky riesce a tenere saldamente le redini per buona parte del prodotto.

Musicalmente invece le influenze sono svariate. Quadeca ci tiene a svincolarsi definitivamente dalla spregiativa etichetta di "YouTube rapper" e trasporta le sue produzioni nell'ambiente di un personalissimo ibrido tra folk-pop ed elettronica.

L'album sa essere insieme fiabesco e spettrale. Le due anime sono splendidamente racchiuse nell'iniziale "sorry4dying", mini-suite d'impianto catartico che ci introduce all'incessante dialogo del fantasma con se stesso e con i familiari cui vuole far sentire la propria presenza senza perseguitarli.

Gli ospiti sanno lasciare il segno. Il nome di spicco tra i featuring è Danny Brown, una delle voci più singolari dell'hip-hop alternativo, capace di padroneggiare basi di ogni genere grazie al suo timbro da clown delirante. Qui appare in uno degli episodi più intensi, "house settling", in cui il protagonista ormai disperato ricorre ad una fuga di gas per far avvertire la propria presenza ai vivi, e pronuncia le sue rime dalla prospettiva del monossido di carbonio ("Can't touch or feel me, but when you're near me fill up your chest and your eyes get teary. Say your peace, say no more grief. It's over now, your soul will sleep"). "Era l'unica persona che potesse farlo", ha dichiarato Quadeca in una recente intervista con il critico Anthony Fantano.

La voce del padrone di casa non è la più potente in circolazione (tant'è che deve affidarsi al Sunday Service Choir nella celestiale "fractions of infinity"), ma ciò non gli impedisce di inserire in scaletta un brano come "knots", scheggia impazzita di matrice industrial, nei cui pattern si incontrano ad un bivio i Nine Inch Nails, i Death Grips e gli Injury Reserve di "By the Time I Get to Phoenix". L'ascesa finale del protagonista è qui preconizzata dal refrain "I don't fade to black, I cut to static", dove per l'interferenza televisiva l'autore intende la luce eterna dell'aldilà in opposizione al vuoto tradizionalmente immaginato dall'escatologia. Tre minuti di interferenza e rumori vari chiudono il disco, andando a costituire la seconda metà della conclusiva "cassini's division" (nella quale figura Thor Harris, batterista degli Swans).

Naturalmente l'inesperienza dei ventidue anni viene fuori in un paio di punti della tracklist. Proprio la sopracitata "cassini's division" è un monologo quantomeno inessenziale se vi si approda dopo cinquanta minuti di musica. Non sempre la climax emotiva delle numerose ballate è dominata con maestria: "fantasyworld" si dilunga nella sua coda ambient e "picking up hands" è il più debole tra i brani che hanno elementi chitarristici prominenti. Ma la policromia della sfaccettata "born yesterday", vicina sonicamente alle recenti pubblicazioni di Jane Remover, riesce a far apparire questi come peccati veniali, risolvibili con un maggiore sforzo di concisione.

L'unicità della produzione è indubbiamente l'highlight di un disco che presenta un songwriting ancora in fase embrionale: arrangiamenti ricercati e voci distorte ed intrise di grain sono la cifra di quest'album.

In attesa di scoprire quali saranno le prossime mosse di Quadeca, possiamo affermare con certezza che "I Didn't Mean to Haunt You" è una luminosa stella nel firmamento del moderno avant-pop: non per tutti, non immediatamente assimilabile o catalogabile, ma meritevole dell'enorme esposizione che sta ricevendo online.

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