Non sono mai stato un amante della musica leggera e del rock in particolare. Le sue melodie scarne, senza carne né sangue (cosa ci sarà mai da mordere?!); con quella batteria che fa il lavoro sporco, come lo fa lo spazzino, per dare un senso ad una melodia che da sola non lo avrebbe; quella chitarra elettrica che senza le centrali elettriche non funzionerebbe perché gli manca ciò che dà senso ad uno strumento, la cassa armonica! Questa chitarra … che senza la presa elettrica non si accenderebbe (un elettrodomestico in pratica! Hendrix è per me una casalinga con la scopa a confronto con Angel Romero che suona con l’acustica il Largo del “Concerto per Clavicembalo in fa minore BWV 1056” di Bach … ma preciso che il merito non va a Romero, ma a quel uomo del XVIII secolo che compose questo Largo che adattato a chitarra vale più della somma dei riff dei capolavori della musica rock!).
I Queen rientrano fra questi parvenu! Non valgono nulla, come tutti i musicisti di musica leggera. Però, senza paragoni con la Classica, i Queen ci hanno dato una o due idee su dove la musica rock possa arrivare. “Somebody To Love” e “Bohemian Rhapsody” sono di gran lunga i territori più inesplorati della musica leggera. Intendiamoci! Senza i Queen il rock non avrebbe conosciuto il meglio di sé stesso. I lavori dei cosidetti cantautori, del progressive rock e di molti altri non arrivano al livello melodico, armonico, vocale e di arrangiamento delle due canzoni queeniche. Intelligenza, delicatezza e curiosità sono gli ingredienti per arrivare a questo. E solo i Queen potevano osare tanto: il modo con cui dosavano la batteria e la chitarra non ha fatto scuola, ma avrebbe dovuto farne! E’ raro trovare nel rock strumenti così disciplinati. Intelligenti senza dubbio fin quando c’era l’ispirazione. Ma ascoltatemi bene: dei Queen salvo solo le due canzoni sopra citate e in più “My Melancholy Blues“, “Love Of My Life“, “Killer Queen” e poche altre. Tutte canzoni di Mercury. Il resto non lo vedo neppure. Ma questo è soggettivo. Ad ogni modo, recensendo “A Day At The Races” mi occuperò solo della canzone di cui vale la pena occuparsi, lasciando a sé stesse le altre che rientrano nella normalità, per fare un po’ di ordine del modo di vedere i Queen e, per contrasto, tutto il resto della musica moderna.
“Somebody To Love” rappresenta un’unicità mai ripresa nel mondo del rock e forse anche dell’intera musica leggera. Questo vale anche per “Bohemian Rhapsody". Questo mostra l’unicità dei Queen, alla faccia di chi dice che non fossero originali. Il loro sound è unico, tra i più inconfondibili, sia per i singoli strumenti (la batteria è accordata in modo da renderla riconoscibilissima - ha un suono pastoso, il basso quasi sempre classicheggiante, la chitarra dal timbro unico, i cori unici), sia per gli arrangiamenti. In questo senso “Somebody To Love” mostra la sua novità. A confronto, un capolavoro del rock come “Stairway To Heaven” è tipico, tale da rendere i Led Zeppelin tradizionalisti e non certo diversi dal blues in voga allora. “Stairway To Heaven” ha la tipica chitarra che ti aspetteresti e i tipici arrangiamenti. Ma è indubbiamente un classico impareggiabile; ma ciò che voglio dire è che “Stairway To Heaven” è tradizionalmente “rock anni ‘70”. Ciò non vale per il capolavoro dei Queen. Già il fatto che si tratti di un gospel in chiave rock (con chitarra e batteria) è di per sé inimmaginabile per un Jimmy Page (forse solo Brian Wilson poteva tanto). Ora, abbiamo il contenuto della torta di pasta frolla ottenuto miscelando un pianoforte jazzistico alla gospel-maniera, un tipico basso deaconiano che fa l’occhiolino a Strauss (il viennese!). Dopo ci si mette la panna montata sopra ed ecco gli armonici vocalizzi dei tre, che, date le diversità tonali, miscelate insieme, offrono tutte le tre nuances che può avere un buon impasto corale: la calda e bassa voce di May, la calda, la passionale, l’innamorata e per giunta, tutto l’opposto, ovvero la squillante voce di Mercury e l’acuto falsetto di Taylor.
Insomma, dal basso (May) al più grave possibile (Taylor), con un intermezzo caldo e suadente (Mercury), che mette d’accordo gli estremi. Perfetto! Mai tali cori furono tanto perfetti nel mondo del rock (i Beach Boys potevano solo fare un coro in falsetto a più voci, ma sempre in falsetto con bassi tipici e monotonali … i sardi insegnano!). Ma il punto interessante non è questo. Il fatto è semplice: come se la cavano ora a inserire chitarra elettrica e batteria in questa torta viennese? La rozzezza di un elettrodomestico e di un tamburo coi piatti non rovinerà il tutto? No, se sei l'omosessuale Freddie Mercury, invece che un Syd Barrett o un Bob Dylan (scusate, ma devo proprio prendervi in giro … voi fan dei poeti e dei “progressisti“!). Ovviamente un Mercury col sostegno dell’ingegnere Mike Stone (mai dimenticare l’approccio dato da un tecnico del suono, soprattutto quando si parla di arrangiamenti). Ma che batteria ben dosata! Che délicatesse! Il suo africanismo tribale non sporca assolutamente questa festa viennese che si dimena a suon di rock (povero Mozart! Povero Classicismo!). E’ una batteria vitale, sveglia, fatale, perfida e graziosa, che danza a suon di walzer. Se fossi sdolcinato la chiamerei “Sissi”. E’ una batteria banale, banalissima!, tipica, ma appunto per questo giustissima: essa si sacrifica, sacrifica la sua presunzione virtuosistica (abbiamo un esempio di insensato virtuosismo ominide in “Moby Dick” sempre dei Led, il fondale dei Led!), per dare tutto lo spazio scenico alla melodica e ai suoi armonici. Una batteria così gentile, così benevola, così timida (cose rare nel mondo rumoroso del rock), che si flette di fronte a cotanta melodiosità, non si era mai vista. Lei, proprio lei, che è abituata ad essere maltrattata, ad essere picchiata addirittura in una “Help!” beatlesiana, per non parlare della trash metal maniera. Ci voleva quell’uomo malinconico, che cercava ispirazione dal passato, che fosse la Vienna d’altri tempi piuttosto che la Londra di Jack, perché su quell’isola in cui era nato non c’era spazio per l’attualità (lì i giornali arrivavano con mesi di ritardo).
Passiamo alla chitarra. Non c’è fino alla strofa “he works hard” e si presenta con quattro semplici note ritmate che ricordano un frammento di “I Want It All”. Bene! molto timida, non si fa vedere più di tanto … come la collega. Batteria e chitarra dosate con la raffinatezza francese e l’essenzialità della Nouvelle Cuisine. E poi? Ecco l’assolo! Sembra davvero clownesco Scaruffi? Hai ragione! davvero! Ma in certo senso sembra quasi un gesto di riconoscenza al rock, quasi un non volerlo escludere a tutti i costi, di modo che anche i fan possano non sconvolgersi più di tanto e dire “ah, ma questo è rock!”. E dato che ci sono, i Queen offrono, a loro insaputa, anche materiale per i detrattori fan di poeti e progressisti-scienziati-sperimentatori (Robert Fripp componeva in camice bianco al CERN; e pure i NEU!). Dopo l’assolo la chitarra scompare dietro le quinte. Champagne e caviale per il dopo opera. E così i Queen escono fuori da questa recensione più veri, più per quello che sono che per quello che altri pensano di loro (io non ho mai espresso un mio gusto personale in questo scritto). E giustizia è fatta (io sono un tipo orgoglioso e la mia fanciullezza la difendo coi denti e con le unghie!). Ma c’è sempre da dire che al di là dei gusti, al di là della soggettività, della guerra fra queeniani e amanti di poeti -sperimentatori, come la celeberrima sfida tra classicisti e avanguardisti, la musica rock nella sua molteplicità di generi mostra tanta pochezza, troppa! Se la Dodecafonia di inizio XX secolo è il segnale di una decadenza della musica iniziata già col Romanticismo di metà XIX secolo (Tchaikosky e Verdi su tutti), il Jazz e la musica leggera ne sono la marcia funebre.
E sì purtroppo … “A Day At The Races” non è che il gesto encomiabile verso un passato che, proprio perché scomparso lasciandoci la sua scia di profumo, può solo essere contemplato col naso, rievocato con manierismo. I Queen, nella loro affannosa maniera, sono solo affannosi, in mezzo ad una massa affannosa. E non dimentichiamoci la cosa più importante: questi Queen, questi Bob Dylan, questi De André, questi Pink Floyd, questi Zappa, questi Vasco, non sono che uomini comuni, che fanno solo rock. Solo rock! Vale la pena di intellettualizzare la musica leggera? Vedete un po’ voi! Ad ogni modo questa recensione dà una chiara idea su cosa io penso di voi, zappiani e dylaniani e simili!
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