Il fratello gemello di “A Night at the Opera” ? Solo perché magari riprende ancora una volta il titolo da un’ opera dei fratelli Marx? Sì e no. E’ infatti il fratello gemello eterozigote, quello riuscito più bruttino, più bassino ma che deriva pur sempre dalla stessa madre/sorgente: l’idea di fondo del precedente album. Gli esiti però saranno diversi.

“A Day at the Races” (1976), copertina nera questa volta a testimonianza della dicotomia giorno/notte e bianco/nero che tanto caratterizzava Marcury/May in quegli anni, si apre in classico stile di Sua Maestà la regina ancora in pompa magna.

1) “Tie Your mother down” , dopo uno scroscio al gong di Taylor, dà il via ad un brano rock definito fin troppo hard per i Queen dell’ epoca, stile Rollin’ Stones. Talmente grande fu l’ approccio col pubblico che verrà riprodotta per tutti i concerti a venire. “ Lega tua madre, tuo padre è ottuso, tuo fratello un rompiscatole, scappiamo insieme e dammi tutto il tuo amore” scrive May. Ironia, rock, trascinamento = formula azzeccata.

2) ”You take my breath away”. Stupendo brano tutto voce e piano di Mercury che di primo acchitto dà l’ impressione di un testo triste ma in realtà è una canzone d’amore romantica. Molto strano l’effetto, piuttosto semplice e diretto il testo ma è uno di quei pezzi “d’amore a primo ascolto” .

3) ”Long away”. Ancora un May che si cimenta, come in ogni album, da cantante ma che trova forse la sua giusta tessitura vocale in questo brano dove non strafa. Il risultato è più che apprezzabile. Sembrano finite le complessità, i barocchismi e i mega-cori che avevano caratterizzato la precedente produzione ma domina la semplicità strumentale e tematica. Riflessiva e nostalgica.

4) ”The Millionaire Waltz”. Ecco spuntare la tradizione che sembrava accantonata finora. Mercury fonde Valzer e rock con molta ironia dandy, sì, di un rampollo che si gode la vita guadagnando a palate e spendendone altrettanto. Bisognava essere davvero fuori di cervello per proporre all’ epoca un Valzer in ambito rock. Mercury era questo. Nessun ostacolo. Questo sono i Queen. Pezzo evergreen.

5) ”You and I”. Uno dei momenti più limitati di “A Night at the Races”. Scritta da Deacon, offre una ritmica abbastanza coinvolgente ma molto scarsa sotto il profilo inventivo, tecnico, testuale e di arrangiamenti. Nettamente un pezzo caruccio ma triviale che abbassa la media qualitativa dell’album.

6) ”Somebody to Love”. Aleggia nell’aria ancora quell’Opera dell’anno prima, quindi non solo la ripresa di generi musicale tradizionali e si sente, la si respira. Un Freddie Mercury che eguaglia quasi, come autore, quello di un anno prima con “Bohemian Rhapsody” . Una voce senza incertezze, perfetta dai gravi agli acuti ai falsetti. Un’ opera anch’ essa d’ antologia, slow rock melodicissmo e impiantato su un tripudio di cori realizzati con il massimo della cura e fantasia, capaci di staccarsi un momento dalla melodia portante e di portare avanti un discorso solo vocale per poi chiudere in stile regale. Il pezzo simbolo dell’album e uno dei cavalli di battaglia del gruppo. E’ già Storia.

7) ”White man”. Altro che bianco! Brian May appare piuttosto oscuro sia nelle scelte prettamente musicali che sono alquanto anomale sotto il profilo melodico (considerato lo standard melodico dell’ album) che lirico. Il testo infatti parla dello sfruttamento degli indiani d’ America. Sarà stato uno di quei momenti in cui si legge un libro o un articolo, si resta impressionati e si vuol scrivere un pezzo? Non si sa. Certo è, “ White Man” è indefinibile, sfugge ma di sicuro è ancora una volta una conferma della voce queeniana che più riflette gli accadimenti sociali e storici.

8) ”Good old Fashioned Lover Boy”. Il picco melodico del disco. Un grandissimo Freddie Mercury che, pur presentandoci una canzone stile anni 50 ben lontana da quei fasti teatrali di “A night at the Opera”, risulta essere molto orecchiabile, sognatrice e spensierata. Uno di quei brani che vi mette di buon umore specie in ambito sentimentale. Discreto arrangiamento, testo valido per grandi e giovani dove ancora un dandy stile Walter Pater o Oscar Wilde “cena al Ritz, offre vino, pieno di galanteria conquista la sua amata” . Figura in quasi tutte le versioni dei Greatest Hits. Bijou.

9) ”Drowse”. I fan dei Queen la odiano. Anch’io ero uno di quelli. Lento, pigro e sonnolento come il titolo, mette una flemma addosso incredibile ma, bisogna ammetterlo, riflette anche uno spaccato sociale in cui possiamo identificarci: “passavo più ore nelle sale di bigliardo che a scuola… quelli erano i tempi andati… . ora è più facile starsene in poltrona e sognare”. Roger è rispetto a Freddie poco vispo e artistico ma molto nostalgico e metropolitano. Resta un brano appena sufficiente ma non da stroncare di sicuro. Anch’esso, uno dei punti no dell’album comunque.

10) ”Teo Torriatte (Let us cling together)”. Chiedete in Giappone di questo pezzo. E’ famoso quasi quanto “Imagine” . Dedicato espressamente al popolo orientale che impazzirà per la band inglese, chiude in bellezza il disco. Uno di quei pezzi in cui ci si abbraccia e si riscopre il senso del gruppo o della coppia. Un testo tipico Queen, non di certo innovativo ma denso di emozione. La chicca di cantare il ritornello in giapponese poi è da non crederci, da non perdere di vista considerata la smaccata idiosincrasia di Mercury per l’apprendimento di lingue straniere. La chiusura riprende il motivetto iniziale dell’album, quindi ciclico.

“A Day at the Races” è un bell’album, senza alcun dubbio dove l’elemento predominante è la melodia, capace di entrare nel cuore del popolo musicale con la stessa euforia dei barocchismi di “A Night at the Opera”. Meno multiforme, meno curato, meno innovativo del precedente ma di sicuro un album che brilla di luce propria e non come riflesso dell’album antecedente, una luce giallo ambra melodica rispetto a quella arcobalenica di “A Night at The Opera” .

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