È il 1977 quando i Queen, facendosi beffe dei critici più esigenti (che -a torto- avevano visto in "A day at the races" un disco poco personale e a carattere eccessivamente derivativo rispetto al monster-album del '75) tornano con un Lp meno pomposo ed elaborato del consueto, eppure di indubbia efficacia.
Pronti, via: "We Will Rock You", struttura tanto semplice quanto anticonvenzionale, puro trionfo in sede live; "We Are The Champions", capolavoro di rock positivo, abusata colonna sonora di ogni successo sportivo (e non) fino ai giorni nostri. Inizio scoppiettante: 2-0, palla al centro. Ma le restanti tracce non deludono l'aspettativa. "Sheer Heart Attack", dall'incedere velocissimo (non è una coincidenza l'omonimia con l'album del 1974), mescola sonorità quasi punk con un cantato decisamente aggressivo, anticipando un po' alcuni cliché del fenomeno thrash anni '80. I ritmi rallentano con la successiva "All Dead, All Dead", toccante storia d'amore ben interpretata da Brian su una base di pianoforte, e poi con una delle più grandi rock-ballad dei 70's, vale a dire "Spread Your Wings", testo di rivalsa sociale e musiche struggenti al punto giusto, specialmente nel bellissimo finale "ad libitum" (non credo sia errato ritenere che gli U2 di One abbiano ricavato qualcosa da queste parti). Con "Fight From The Inside", composta da Taylor, troviamo invece un primo esperimento dei Queen su territori funky (i tentativi si moltiplicheranno negli anni successivi): buona la prova di Roger dietro al microfono, discretamente riuscito il pezzo. Decisamente sperimentale, ma su coordinate diverse, anche la sensuale "Get Down, Make Love", in cui fra atmosfere psichedeliche e la pura recitazione canora di Freddie si può notare anche il lavoro certosino del basso di Deacon. Seguono "Sleeping On The Sidewalk", satira del music-business in cui ricompaiono le sonorità rock blues tanto care al Brian May del periodo-Smile (il pezzo è insolitamente -per i Queen- registrato in presa diretta), e la inusuale "Who Needs You", caratterizzata da inedite sonorità latine con un eccellente lavoro ritmico-solista di chitarra classica. Giunti quasi al termine del disco, un arpeggio distorto introduce uno dei maggiori capolavori hard rock della band, "It's Late" (non per niente recuperata nella raccolta "Queen Rocks" del 1997), dotata di un refrain corale irresistibile e di passaggi trascinanti con un Taylor in stato di grazia, mentre la chiusura spetta a "Melancholy Blues", classico lentone blues d'atmosfera con l'ennesima superba interpretazione -anche al piano- di Freddie.
In definitiva, un album che si distacca parzialmente dagli epici barocchismi del triennio 1974/1976 e riafferma l'identità rock dei Queen, rappresentando così la risposta migliore ai critici musicali più esigenti dell'epoca senza per questo rinunciare alla consueta carrellata di "classici", che lo porteranno al n. 1 in numerosi paesi europei e al n. 3 negli USA, guadagnando allo stesso tempo consensi fra i vecchi e i nuovi fans.
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