Quando la musica si fa poesia, questo è il caso di Queen II (1974).

Non è il primo caso né l’ultimo ma mai livello così elevato e perfetto tecnicamente fu forse mai raggiunto, eccetto che in “A Night at the Opera”, sia dai Queen che da altri gruppi. Ci chiediamo: Come mai sia possibile che dal primo al secondo album ci sia un maturità tale? Il quinto posto in classifica ne è solo una conferma. I Queen hanno capito su che strada muoversi ma è il binomio Mercury/May che raggiunge e che scavalcherà quello Plant/Page.

1) “Procession”. Se l’album d’ esordio aprì un sipario molto scoppiettante, siamo ora totalmente allo scuro. Una marcia quasi funebre darà solo un “hint” di atmosfera tetra ma il sapiente gioco strumentale di May, che da accordi in minore passa in maggiore con un accompagnamento basso ed una sovraincisione alta, farà capire che quella piccola marcia è invece indice del lato “White” dell’album, quello tutto suo ma… . contiamo fino a 3 prima di dire che sarà un album solare!

2) “Father and Son”. Si apre il sipario: La Regina in scena. Quei 4 personaggi scuri nella cover si materializzano. E’ un inizio trionfale ed anche un inno alla relazione padre/figlio che per Brian ha sempre significato molto. May stesso, in una non famosa intervista del 1986, dichiarò che suo padre fu un esempio di compostezza per lui che pur non avendo mai preso droghe e dato giù con l’alcool, era allo sbando. Cori e sovracori dominano la scena, accelerazioni con ritorni di hard rock per smorzare in lentezze quasi paradisiache. Quando un pezzo è lungo, non può essere altrimenti. May lo impara dalla teoria del “long poem” di Wordsworth il quale sosteneva che la poesia è fisiologia e che se breve può essere massima, se lunga deve avere momenti alti e bassi. In tutta la discografia Queen ci saranno riferimenti costanti al mondo letterario. La chiusura del pezzo è sfumata e trionfale. Perfetto.

3) “White Queen (as it began)”. Dopo Bohemien Rhapsody, la più bella canzone dei Queen negli anni ’70. Ancora uno strepitoso May che immagina un pesaggio gotico nell’epoca in cui l’ immaginazione era ancora trasportata solo dall’ audio e non dal video clip. Bei tempi. La chitarra di Brian piange, un mesto Mercury accompagna questa tristezza e si cammina come in una valle oscura invocando la Regina Bianca che con il suo potere è capace di stregare il poeta e di far impallidire la notte. A May non resta che attendere invano dando sfogo ad un arpeggio classico seguito da fruscii incogniti che, al comparire della Regina nell’ oscurità, DANNO VITA AD UNO DEI MOMENTI PIU' INTENSI DELLA STORIA DELLA MUSICA. Esplosione di chitarra, esplosione di voce, tripudio di cori. La chiusura è mesta “as it began” . Canzone da brivido, pezzo eccellente.

4) “Some day, one day”. Ancora May alle prese del lato bianco ma evidentemente stanco della faticaccia, dà vita ad una canzone “ bucolica” nell’ accezione non negativa del termine ma di poca presa. Nonostante i temi gotici affascinanti in esso contenuti e una variazione niente male nell’inciso, non cattura. E’ anche il primo pezzo che lui canta e le sue abilità canore sono molto limitate. Debole.

5) “The Loser in the End”. Chiuso il lato solare, dove lo mettiamo questo brano? Chissà! Solo perché Taylor lo scrisse e voleva cantarlo! Non ha riscontro in tutto l’album. Per questo meriterebbe l’insufficienza ma, messo in “carcere di isolamento”, non è malvagio, anzi. Il batterista dimostra una grande voce ed un brano abbastanza simile a “ Son and daughter” sotto il profilo ritmico e concettuale ma tematicamente più semplice e comprensibile. Rapporto madre ossessiva e figlio trasgressivo. La verità è nel mezzo. E che stacchi di batteria nel finale! Un bel 6 di incoraggiamento al primo pezzo tutto suo.

6) "Ogre Battle". Mercury solo cantante finora? No cari ragazzi! Dagli abissi di un fruscio che sembra arrivare da montagne sperdute, si alza sgomento: gli orchi arrivano. Freddie dà sfoggio a tutta la sua abilità favolistica e mitologica, memore della letteratura tardo-gotica inglese, avvia il lato scuro dell’ album. Canzone universale. Grandi e piccoli sognerebbero. Questi orchi al calar della notte si radunano solo se “ il pifferaio suona e la tua zuppa è fredda sul tavolo montre il corvo vola… ” , orchi che divorano l’ oceano e che spesso testano la loro forza in battaglie mitologiche. Il brano è a tratti hard rock, a tratti una marcia veloce ma mai un punto di noia. Per tutti.

7) “The fairy feller’s master stroke”. Tradotto significa: il colpo maestro del taglialegna. Mercuri, diplomato al Ealing College di Arte, conosceva l’omonimo quadro di Richard Dadd. Una fiaba zampillante. Una cerchia di creature da “Sogno di una notte di mezza estate” quasi si radunano nei boschi ad assistere al taglialegna che sferrerà un colpo d’ ascia per rompere la noce. Mercury, con ritmo incalzante e accordi che tra di loro infrangevano di molto le leggi armoniche, crea uno dei brani più “ monelli” dell’ intero repertorio Queen dipingendo tutti i personaggi presenti nel quadro affollato di Dadd. Grande voce poi. Chicca da collezionisti.

8) “Nevermore”. Sublime. In tutti i sensi. Edgar Allan Poe scrisse la famosa poesia del “ Corvo” in cui ripeteva mai più ad ogni domanda dell’ innamorato che chiedeva se la sua lei fosse innamorata o addirittura viva. Quella risposta ossessionante fu motivo di disperazione. Poe teorizzò anche che la poesia doveva essere proprio perché fisiologica, breve, 100 parole al massimo, malinconica perché la malinconia è il più grande stato d’ animo ed echeggiante… “ la lettera r e la vocale o in nevermore” . Mercury compone, solo piano e voce, un brano da 10 e lode che tutti amano sotto in tutti i parametri. Gioiello indiscusso.

9) “The March of the Black Queen”. Come in un’ellissi, questo è il secondo fuoco dell’ intero album. Targata ancora Mercuri, è la summa del lavoro svolto finora. Vertice assoluto per musica ( marcia, salti, tamburi impazziti, cori altissimi e sempre ben organizzati, discanto, variazioni infinite, tregue, cavalcate, interruzioni, riprese), voce in cui Freddie è in grande spolvero e testo. No, non più quella regina misteriosa del lato bianco ma questa è regina nera, spietata, come in un gioco a scacchi tra bianchi e neri (proprio come le unghie della mano sinistra che dipingeranno d’ ora innanzi May e Mercury), regna sovrana ed incontrastata nelle tenebre con entrambe le mani (ideologia totalizzante politica?), affascinante, meschina, che “bolle, sforna e non mette mai i puntini sulle i” . Seconda solo a bohemien Rhapsody e Stairway to Heaven. Capolavoro.

10) “Funny how love is”. Risente molto dello stile “Beach Boys” con cui Mercury ebbe a che fare nel periodo “Larry Lurex” . Anche Freddie si dimostra stanco in questo pezzo. Dopo tutto mi sembra anche legittimo. Calcante lo spector sound, è un continuo pizzicare di chitarra e battito di tamburello per celebrare la bellezza e l’ingenuità buffa dell’amore. Canzoncina che sottolinea solo la grandissima voce di Freddie Mercury.

11) “Seven Seas of Rhye” . Riprende il motivo principale dello stesso pezzo contenuto nel primo album che non menzionai (vedi “Queen” ). Questa volta però Freddie Mercury la organizza ancora col suo gusto poetico immaginandosi creatura superumana che scende dall’alto e reclama i suoi mari di Rhye co un ritmo difficilmente non coinvolgente. Unico brano dell’ album ad entrare nel Greatest Hits del 1980. Scelto per la cortezza, non di certo per il valore. Trascinante.

"Queen II" è uno degli album più curati e creativi di sempre e dire che è stato superiore a “A night at the Opera” sarebbe come dire che Maradona è stato più forte di Pelè. Dipende dai gusti di noi utenti. Su una cosa siamo d’accordo: entrambi gli album sono eccellenti.

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