Si sono venduti, hanno perso lo smalto di un tempo, senza Oliveri non sono più gli stessi... queste sono solo alcune delle voci che si sono susseguite durante gli ultimi "tribolati" anni delle regine. Ma Josh Homme ha fatto finta di nulla ed ha continuato ad andare avanti per la sua strada. Se ci abbia perso o guadagnato qualcosa risulta ancora un pò difficile dirlo. Anche se è innegabile che le idee e la vena compositiva del "gigante rosso" si siano un pò affievolite ultimamente (e dopo tre ottimi album dei quali uno è senza nessun dubbio uno dei migliori dischi rock dagli anni '90 in poi ci può pure stare) è altrettanto vero che dal vivo sono ancora un gruppo con i controcoglioni quadrati. Nonostante tutto, oltre gli anni e attraverso i boschi. Bisogna comunque dare atto al rossocrinito chitarrista di essersi sempre attorniato di musicisti davvero notevoli e talentuosi. Ed il concerto all'Alcatraz non è altro che un'ulteriore conferma di tutto ciò.
Ma andiamo con ordine... parto da Napoli domenica sera con Alberto "o'dottore" e Gianluca. Arriviamo in mattinata a Milano e dopo una necessaria colazione ci mettiamo subito alla ricerca dell'Alcatraz visto che nessuno dei tre c'era mai stato prima. Dopo circa tre quarti d'ora a piedi arriviamo davanti al locale verso le 11; ovviamente non c'è ancora nessuno. Dopo mezz'ora circa arriva un gruppo di ragazzine sui 17-18 anni che fanno parte del fan club italiano dei Queens Of The Stone Age. Solo a vederle non meritavano neanche di entrare ma lasciamo perdere. Restiamo nelle vicinanze per mangiare qualcosa, un bel pò di kebab a testa, un paio di birrette e ritorniamo. Con l'avanzare del pomeriggio lo spazio antistante il locale inizia a riempirsi. Nonostante si sappia già da un pò che il concerto è sold-out c'è più di una persona che cerca i biglietti. Da quello che ho visto molti li troveranno a prezzi ovviamente più che raddoppiati (70-80 euro circa). Verso le 18 arriva l'auto che porta i Queens vicino all'entrata secondaria per il soundcheck. Un saluto velocissimo ed entrano subito dentro. Poco dopo esce Castillo che si dirige tranquillamente verso il pullman (aveva dimenticato le Converse nere che usa di solito per suonare). Pochi secondi per realizzare ciò che il "simpatico scimmione" si trova attorniato da una cinquantina di persone per autografi, foto e filmati. Io ed i miei amici riusciamo a fare qualche foto con lui. Disponibilissimo e gentilissimo dopo l'ordinaria amministrazione torna di nuovo dentro. Verso le 19 si inizia a comporre la fila per entrare ed ecco nell'attesa esce a sorpresa Josh Homme accompagnato non so da chi che sale sull'auto che lo porterà probabilmente in albergo prima del concerto. Alle 19.45 entriamo finalmente dentro e becchiamo degli ottimi posti in seconda fila. Davanti a noi ci sono le ragazzine isteriche che di lì a poco rischieranno di fare una brutta fine. Pochi minuti ed il locale inizia a riempirsi sul serio.
Inizia il set di un misterioso dj pelato che lascia di stucco (in senso negativo però) i presenti con un'esibizione improntata su musica elettronica con incursioni dance da fucilazione e inserti trance stucchevoli. Ora io d'elettronica non capisco un cavolo ma una persona che va ad un concerto dei Queens non si aspetta certo questo tipo di "preparazione". Il tipo si dava da fare e si dimenava parecchio ma il pubblico non ha gradito per nulla rivolgendo più volte cori ingiuriosi all'indirizzo del malcapitato. Dopo un'oretta lo strazio finisce ed il palco viene invaso da tecnici e fonici che controllano gli ultimi dettagli. Sopra ogni strumento sono stati montati dei "lampadari spaziali" davvero molto particolari. Passano 20 minuti nell'attesa febbrile, le luci finalmente si spengono... ecco che fanno la loro entrata le regine: Josh Homme col suo passo dinoccolato e la faccia strafottente, Troy nelle sua usuale tenuta giacca e cravatta (ma come diamine faceva? nel locale c'erano minimo di 30 gradi), l' "animalesco" e ultratatuato Castillo e i due nuovi acquisti in casa Queens: Daniel Schuman (Wires on fire) al basso e Dean Fertita (session dei Raconteurs) alle tastiere e synth (terza chitarra all'occorenza). Il tempo di imbracciare e parte subito "Monsters in the parasol" (scelta inusuale per aprire); la calca diventa subito tremenda e il pogo è selvaggio. Metà pezzo e le ragazzine del fan club devono subito cambiare posto per non rischiare di essere schiacciate dalla folla. All'inizio la voce di Josh sembra un pò alta ma è una piccolezza. Il gruppo è davvero in palla ed esegue alla perfezione. Neanche il tempo di riprendersi e i nostri attaccano "Burn the witch": siamo al secondo pezzo ed i suoni sono assolutamente più che perfetti. Il pubblico è in delirio e si vede che i cinque sono gasatissimi. Si passa poi a i pezzi del nuovo "Era Vulgaris". Gli estratti sono un bel pò:"Turning on the screw" (evvai con la prima surfata) e "3's & 7's" con i loro riff semplici ma efficaci mandano tutti in visibilio, il singolo "Sick, sick, sick" (e qui ho surfato alla grandissima), le atmosfere elettroniche di "Misfit love", la lentezza stralunata di "I'm designer".
La prima ottima impressione è che i nuovi pezzi dal vivo acquistino una velocità ed una potenza nuova rispetto al disco. Potenza e velocità assicurate da un Castillo in forma semplicemente straordinaria: una vera macchina da guerra. Nel mezzo pure una "Tangled up in plaid" che con il suo refrain memorabile scalda ancora di pù le prime file. Dopo la "parentesi promozionale" un bel tuffo nel passato ed i nostri buttano fuori "Avon" accolta da un boato incredibile, la più "tranquilla" "The lost art of keeping a secret" (il pogo e il crowd surfing non accenavano a fermarsi) ed una versione devastante di "Mexicola" dove qualcuno ha rischiato di farsi veramente male. Josh Homme ringrazia ed il pubblico non smette un attimo di fare altrettanto. Ancora niente da "Songs for the deaf"?? Com'è possibile? Detto, fatto!!! Parte "Go with the flow" e l'Alcatraz diventa una bolgia infernale.Pogano tutti, dalla prima all'ultima fila. Gli addetti alla security hanno un bel da fare, non c'è un attimo di tregua: mi passano sopra la testa non so quante persone. Pochi secondi per riprendersi, si incrociano sguardi di persone distrutte ma soddisfatte... parte una bacchetta sul campanaccio: il riff di "Little sister" ci dice che non è finita. Le regine viaggiano che è un orgasmo guardarli. Troy è un chitarrista pregevole, la spalla perfetta per Homme: i due non hanno bisogno di guardarsi un attimo, si capiscono al volo. Schuman al basso ci dà dentro di headbanging e si dimena come un dannato (a me sembra uno uscito dal periodo grunge); alle tastiere e synth anche Fertita non si risparmia e si destreggia più che bene (leggermente in difficoltà quando con la terza chitarra deve stare dietro a quei due mostri). Uno spettacolo fantastico, l'estasi del rock 'n' roll!
L'intro catacombale di basso di "A song for the deaf" è un colpo al cuore per tutti. Il livello è altissimo, Castillo è il motore propulsore, Troy e Homme suonano la chitarra in maniera superba e creano effetti straordinari: si intrecciano, cambiano armonie e melodie per poi aggrovigliarsi nel ritornello... lacrime agli occhi. La parte finale della canzone è semplicemente indescrivibile arricchita dalle seconde voci-urla impazzite di Schuman (per essere appena arrivato il ragazzo dimostra di avere carisma e personalità) che in questo frangente assolutamente non fa rimpiangere Oliveri. Surfare su questa canzone è sicuramente una delle cose che porterò dentro di me per un bel pò. Salutano, ringraziano,escono di scena, tutti applaudono e urlano con quanta voce hanno in gola... è finita! Ovviamente no! Un paio di minuti e rientrano sul palco. Ancora un estratto del nuovo album. Si tratta di "Run, pig, run" (dopo "Everybody knows that you're insane" ennessima stoccata all'amico Nick Oliveri? Chi può dirlo? I testi in proposito sembrerebbero parlare abbastanza chiaro ma Homme ha dichiarato più volte che il barbuto Nick resterà sempre uno dei suoi migliori amci). "Which song do you wanna hear now?" chiede Josh al pubblico. Molti urlano "A song for the dead", altri qualcosa di molto improbabile o incomprensibile. "Ok, we make "Regular John" dice Josh con quella sua faccia da culo per la quale non è possibile non amarlo. Altro giro, alra esecuzionre perfetta. Stavolta i nostri vanno oltre e piazzano un intermezzo strumentale da brividi nel bel bel mezzo della canzone prima di riprendere il riff portante. La cosa che colpisce è l'assoluta naturalezza con la quale i Queens fanno quello che fanno. Manca ancora una canzone per chiudere:"No one Knows"(stavolta proposta nella sua versione originale e non in quella di circa 7 minuti che propenevano ultimamente.). Appena parte la chitarra il pubblico salta all'unisono. Il delirio, non ci sono altre parole.
Stavolta è finta davvero, il pubblico è semplicemente stupefatto, applausi a scena aperta infinita per questi 5 signori che hanno dimostrato ancora una volta (se ce ne fosse bisogno) cosa vuol dire suonare rock! La gente inizia ad uscire lentamente, il locale era strapieno e noi approfittiamo per spendere qualche soldino al bancone del merchandise. Usciamo dopo un pò anche noi, distrutti, stanchi ma fottutamente felici. Probabilmente ancora non ci si rende conto di quello a cui si è assistito... ci vorrà ancora tempo per assimilarlo.
Qotsa: probably the best fucking rock band on the planet!
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