Credo che ormai, ascoltando un disco dei Queensrÿche, io non debba stupirmi più di niente. 

Band assolutamente eclettica, riesce, in ogni suo album, a confezionare e donare emozioni uniche e viscerali a chi ha il buon senso di acquistare il loro disco e ascoltarlo. E non parlo per via di una questione affettiva che mi lega loro in maniera particolare (anni di onorata carriera hanno ripagato i miei soldi spesi nell’acquistare tutti i loro album). Mi riferisco proprio al loro modo idi fare, al loro strafregarsene delle mode, dei trends, delle cazzate che possono girare in un certo periodo di tempo perché quello è il “vento” che tira in quel momento e allora “tutti siamo bravi se seguiamo quel vento” o quella corsia. Ma gli elogi si sprecano e il disco non si recensirà mai da solo…. Questo è il vero problema.

Lasciando da parte gli elogi (più che meritati), avevamo lasciato la band di Seattle ferma al secondo capitolo del loro best seller “Operation: Mindcrime”, divenuto “Operation: Mindcrime II”. Per carità, disco molto bello ma non pienamente convincente. Un disco che per apprezzarlo devi ascoltarlo più di una volta dove alcune soluzioni, alcune trovate, alcune song sembravano forzate. Ma, tutto sommato, godibile, soprattutto per via del concept che lega i due album (nonostante gli anni che li separano).

“American Soldier”, invece, mostra il lato più “intimo” e, in qualche senso, esteriorizza la voglia dei ‘rÿche di tornare a suonare quel che più sanno far meglio. Quel loro heavy metal misto ad atmosfere progressive devote a Rush, Genesis e Yes dei tempi d’oro tanto cari al singer Geoff Tate (un talento della natura). 

A livello lirico, invece, si superano, perché il disco rappresenta un concept avente tema centrale proprio la guerra. Ma, si badi, non è l’ennesimo concept-album contro la guerra, o a favore della guerra o checche sia.

“American Soldier” è un “documentario” della guerra. Poiché documenta gli stati d’animo che i soldati passano nelle vari fasi della stessa, descrivendone una loro personale esperienza. Psicoanalisi allo stato puro. Psicoanalisi che diventa musica, magica musica, musica che ti trasporta e che ti trascina con se senza lasciarti per un secondo. Merito degli splendidi assoli di Michael Wilton, della voce magica di Geoff Tate che lamenta la crudeltà e la disperazione della guerra dove non ci sono né vinti né vincitori ma solo atrocità. 

Song perfette e perfettamente miscelate tra loro, della durata media di 5 -6 minuti che non potranno mai annoiarvi, perché, al contrario di ciò che qualcuno potrebbe immaginare, questa volta i nostri si sono davvero impegnati. Geoff Tate in prima persona ha voluto rendere omaggio alla carriera di suo padre (militare ufficiale che ha servito gli Stati Uniti in Corea e in Viet Nam) ma, contemporaneamente, ha reso omaggio a tutti i veterani di guerra che ha intervistato per poterli “psicoanalizzare”, trarre profitto, insegnamenti ed esperienza dalle loro storie onde, infine, dare vita a song e liriche.

Senza perdermi in un noioso “track by track”, posso dire che dall’iniziale “Silver”, dove si affronta l’esperienza di un soldato che abbandona l’adolescenza per entrare nell’arena del mondo (“… welcome to the show”), si passa con disinvoltura da momenti più metal ad atmosfere più orientali e arabeggianti (“A Dead Man’s Words”, dove il tema portante è il salvataggio di un soldato rimasto ferito in Medio Oriente), per poi tornare alle atmosfere metal-prog di “The Killer” (in battaglia devi prendere una decisione: sparare per uccidere o rimanere ucciso). Forse una delle più belle composizioni del’intero album.

E se in “The Middle Of Hell” pare davvero trovarsi nel mezzo dell’inferno (siamo a Baghdad) la cosa che più stupisce in questa song è il refrain “I’m all right, I’ll be all right” (“sto bene, andrà tutto bene”. Frasi ripetute dagli stessi feriti che magari hanno perso una gamba o un braccio in guerra ma che si fanno coraggio da soli), in “Remeber Me” ancora Michael Wilton ci rende grazia con uno dei suoi affascinanti assoli.

Ultime song da segnalare sono, decisamente e sicuramente, la commovente ballad “Home Again” nella quale respiriamo atmosfere pinkfloydiane (sembra quasi di essere tornati ai tempi di “Silent Lucidity”) e, sempre all’interno della quale, odiamo duettare la voce iper-tecnica di Geoff Tate (ispiratissimo) con quella di sua figlia Emily di appena 10 anni. Questo ad onor del fatto che l’argomento in questione è la separazione dalle persone che si ama, basandosi su una serie di lettere tra il padre che si trova al fronte con la sua piccola. Non esprimo ulteriori commenti sulla performance vocale di Tate, quanto su quella di Emily che risulta davvero essere toccante e commovente (si sente che è una bambina e, anche se non sarà un talento tecnico come suo padre, riesce ad affascinare l’ascoltatore arrivando diritto al suo cuore, trapassandogli l’anima). Probabilmente (parere personale) se la piccola avesse dimostrato una maturità e un’esperienza maggiore riguardo all’uso delle corde vocali e del canto avrebbe rovinato tutto e la song non sarebbe riuscita così bene. 

L’altra composizione, invece, è la conclusiva “The Voice”, tutta dedicata al padre di Geoff Tate e alla sua carriera (ambientazione: Corea e Viet Nam). Aperta proprio dalla voce narrante di Tate senior (ultrasettantenne), la canzone è, come sempre, un ottimo assaggio di quel rock-progressivo che i Queensrÿche hanno dimostrato di saper scrivere e suonare nei loro masterpiece (“Promised Land” e “Q2K” su tutti). Canzone nella quale vi ritroverete a sussurrare “don’t be afraid”.

Ogni song è un’esperienza diversa dalla precedente, ogni song è dedicata ad un momento diverso e ogni song vi catapulterà in una nuova dimensione. Vi “gusterete” le intro di alcuni veterani, le loro narrazioni che non andranno mai ad inficiare le 12 perle che compongono “American Soldier”, forse uno dei dischi più maturi che i Queensrÿche avessero potuto regalarci e, molto probabilmente, uno dei dischi più belli di tutto il 2009 che abbia mai ascoltato. 

Altro ogni commento si spreca. 

Semplicemente geniale. Semplicemente superlativo. Semplicemente…. Queensrÿche!

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