Prima di ogni altra considerazione mi piace dire che Kill Bill di Quentin Tarantino significa innanzitutto "cinema": di più, secondo il mio modesto parere, ottimo cinema.
Di fronte al "materiale filmico" che Tarantino ci propone con Kill Bill si può rimanere positivamente o negativamente impressionati, ma senz'altro non si può rimanere indifferenti e questo è un fattore fondamentale per ogni tipo di espressione dell'arte o del pensiero.
Mi stava a cuore fare questa puntualizzazione perché ultimamente ho visto molti film che sotto quest'aspetto mi hanno insoddisfatto profondamente.
Da spettatore, tipicamente, andando al cinema mi aspetto di uscire dalla sala arricchito di qualche emozione in più: con Kill Bill questo mi è accaduto in sostanziale contro tendenza con quello che mi capita ultimamente, di solito dopo aver assistito a film che dietro di sé lasciano soltanto un vuoto sia artistico che di pensiero.
Detto questo, si possono facilmente individuare in Kill Bill caratteristiche che definirei abbastanza tipiche a livello sostanziale laddove mi appaiono decisamente più originali a livello formale.
In altri termini Kill Bill, sotto il profilo della sostanza, è una storia costruita attorno a uno dei temi più tipici del film d'azione, ovvero il tema dalla vendetta che la protagonista consuma con estrema ferocia e razionalità, mentre sotto il profilo della forma, il film di Tarantino mette in mostra il suo vero propellente.
Durante la proiezione infatti sono gli elementi stilistici formali che mi hanno fatto balzare sulla sedia: stili, tecniche di montaggio, fotografia, switch del colore che in qualsiasi film sarebbero sostanza filmica ovvero "specifico filmico" qui acquistano di per se stessi una rilevanza ancor più pregnante e assoluta: assurti come sono a status di arte.
Addirittura la "banalità" della trama potrebbe essere appositamente voluta da Tarantino per portare ancor più in rilievo il profilo stilistico anche se, egli sembra rivisitare con ironia straordinariamente sottile certi "tipi" del cinema di genere: il maestro costruttore di katane, la killer paradossalmente mamma affettuosa, il boss misterioso, l'eroina etc.
Anche il fatto di aver giocato, per "parafrasare" i combattimenti di certo cinema d'azione, sull'estremizzazione della violenza in grottesco è stata una mossa di stile originale che ha permesso a Tarantino di evitare il richiamo alla parodia slapstick utilizzata invece da Jackie Chan.
Non a caso ho parlato di "materiale filmico" in quanto assistere a una proiezione di Kill Bill è molto simile a fare zapping fra film di natura e di tono fra loro estremamente differenti.
Con estrema semplicità nel film si possono rintracciare riferimenti ad Akira Kurosawa, a Sergio Leone, a Takeshi Kitano, al genere Blaxpoitation, a quello delle animazioni giapponesi, al genere splatter, a Ennio Morricone (per le musiche) tanto per citare quelli più evidenti.
Ora, ciò che mi pare importante sottolineare è che Tarantino con questo film è riuscito a realizzare a mio parere per la prima volta nella storia del cinema (o almeno di quel tipo di cinema - industria comunemente detto "Hollywoodiano") una vera e propria "fusion" cinematografica.
Unico precedente strepitoso di Kill Bill potrebbe essere "Le Lacrime della Tigre Nera" del geniale Wisit Sasanatieng: un film tuttavia destinato al confino nel limbo del cinema scartato dai grossi distributori e come tale praticamente inesistente (a questo proposito mi riferisco in particolare alle consideraizoni che ho precedentemente svolto sul fondamentalismo del mercato).
In altre parole, non è certo la prima volta che un regista realizza un film caratterizzato da una commistione di generi, ma è la prima volta che lo fa in questi termini così consapevolmente eclatanti, divertenti e alla portata delle grandi masse.
Per fare un parallelo con artisti che a mio parere hanno molto in comune con Tarantino, si potrebbe dire che vedere Kill Bill è molto simile ad ascoltare la musica di Frank Zappa, o ancora meglio di John Zorn.
Si tratta di artisti che, come Tarantino, hanno raggiunto la consapevolezza che la forma più attuale e sostanziale di "fusion" (intesa come cifra stilistica) è possibile nel cinema, come nella musica del resto, nei modi in cui essi ce la propongono.
Come loro, noi tutti siamo esposti a una quantità enorme di stimoli provenienti dal mondo del cinema, della musica, dei mass media: una valanga di proposte che purtroppo è guidata dalla logica del marketing che rischia di schiacciarci tutti quanti, in un appiattimento generale del gusto e delle opinioni, a meno che non ci si riesca a ritagliare una nicchia di libertà espressiva come fanno Tarantino o Zorn. Una libertà che diventa simmetricamente fruitiva per lo spettatore/ascoltatore.
Travalicando i generi, scomponendoli e ricomponendoli a loro piacimento questi alchimisti riescono ad uscire da quelle vischiose paludi che altrimenti li vincolerebbero a stili e a generi ormai abusati, ottenendo così una sorta di stile non-stile che diventa forma di espressione libera e paradossalmente pura.
A noi spettatori/ascoltatori non resta far altro che imparare la lezione e vivere così quell'esperienza emozionante che desideriamo quando andiamo al cinema o sentiamo un CD.
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